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Verso le città del futuro, tra tecnologie smart e caos creativo

Verso le città del futuro, tra tecnologie smart e caos creativo

| Matteo Robiglio | Ieri, oggi, domani

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Smart city è un termine che abbiamo ormai imparato a conoscere molto bene: si tratta di quel mix di ingredienti che promette alle grandi città di essere efficienti, di qualità.

Città che hanno adottato soluzioni tecnologiche e affrontato questioni come il costo della vita, i trasporti efficienti e il consumo di energia.Tutto questo però pone molte questioni di non immediata soluzione.

foto di Matteo Robiglio

Matteo Robiglio è coordinatore del Future Urban Legacy Lab del Politecnico di Torino

La tecnologia sembra infatti uno strumento per arrivare alla smart city, tuttavia, quando incontra il resto della società o il tessuto urbano, si ferma, e questa è una delle ragioni per cui sono in corso tanti esperimenti ma poche realtà che funzionano veramente.

L’ossessione del controllo e dell’ottimizzazione che stanno alla base del nostro pensiero sull’applicazione dell’ICT ci ha portato negli anni a degli esiti non del tutto desiderabili, mentre, proprio all’opposto, aprirsi alla casualità potrebbe rappresentare la possibile soluzione da esplorare. Si tratta, tuttavia, di un’idea che, per una corrente di pensiero di stampo tecnico e per decisori politici ed economici, può essere difficile da fare propria e di conseguenza da mettere in pratica, per la natura stessa di ciò che rappresentano e del ruolo stesso che ricoprono.

Aprirsi alla casualità potrebbe rappresentare la possibile soluzione da esplorare

La città è essa stessa “anarchia organizzata” e possiede una sua struttura organizzativa intrinsecamente caotica, che è bene rispettare. Per sua natura, la città è conflittuale e conserva al suo interno una parte di caos, quello stesso caos che consente di rilanciare costantemente la curva dell’innovazione liberandola dalle sue crisi periodiche.

Non si può pensare di costruire città ideali, luoghi perfetti dove tutto funziona, non tenendo conto della complessità della vita: la vera partita in gioco è innestare queste tecnologie sulle nostre città costruite centinaia di anni fa, piene di storia e di contraddizioni. Le grandi rivoluzioni tecnologiche sono nate proprio dalla capacità di fare questo, ma l'ibridazione non piace, perché è troppo complicata.

Credo che molto presto ci troveremo, davanti ad un bivio: scegliere tra sistemi, tecnologie, organizzazioni centralizzate e proprietarie e sistemi aperti che sposino la natura intrinseca della città come anarchia organizzata. Credo che ciò sia necessario per lo sviluppo di un’ecologia del diritto, di una società e di un’economia che realmente sappiano cogliere le promesse che la smart city ha fatto. Promesse di efficienza, di qualità, di conforto, sposandole con le nostre preoccupazioni di accessibilità, trasparenza e controllo democratico del governo della città.

È fondamentale in questo passaggio rafforzare le competenze e le capacità pubbliche, che costituiscono l’infrastruttura civile e tecnica delle nostre città: proprio l’assenza di un attore pubblico capace e competente all’interno della conversazione sulle smart city rischia di farle inciampare su questioni morali, giuridiche e etiche e di replicare alcuni avvenimenti passati. Ricordiamo bene quando l’ingegneria nucleare è stata bloccata dal no dei cittadini, portando un legittimo processo democratico a cancellare una possibile opzione tecnologica.

Credo ad oggi la nostra sfida più grande sia quella di lavorare sull’architettura giuridico-tecnico-organizzativa e contemporaneamente sull’infrastruttura urbana delle nostre città, tenendo però conto che intrinsecamente la città, per continuare a essere il luogo plurale che le permette di essere innovativo, è un oggetto ibrido. Una delle tante sfide è, ad esempio, quella di realizzare sistemi interconnessi tra loro in presenza di sistemi proprietari.

Ci sono delle contraddizioni che dobbiamo affrontare collettivamente, che richiederanno il lavoro contemporaneo di giuristi ed ingegneri informatici: la parte giuridica in sé sembra facile, così come la parte informatica ma quando le mettiamo insieme comincia la vera complessità.

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Matteo Robiglio

Architetto, professore ordinario di Composizione Architettonica e Urbana presso il Dipartimento di Architettura e Design del Politecnico di Torino, di cui è stato coordinatore del Collegio di Architettura dal 2015 al 2018. Svolge attività di ricerca sul ruolo del progetto nella trasformazione della città e del paesaggio contemporaneo.
Coordinatore del Future Urban Legacy Lab del Politecnico di Torino

FULL - Future Urban Legacy Lab

Fondato nel 2017, è un centro interdipartimentale di ricerca sul potenziale dell’eredità storica nelle città che affrontano le sfide globali della contemporaneità.
Un programma di ricerca di 3 milioni di euro che ha come obiettivo di ragionare del rapporto tra futuro e passato e tecnologia all’interno dello spazio urbano.
Al progetto partecipano 7 dipartimenti con uno staff che conta circa 40 ricercatori.
La mission del Laboratorio FULL è di studiare le sfide aperte da un mondo in rapida urbanizzazione, esplorare, immaginare e progettare il futuro delle legacy urbane locali e globali.
FULL immagina lo spazio urbano attraverso una definizione complessa e aperta, sia come prospettiva per interpretare le sfide principali di un mondo in rapida urbanizzazione, sia come luogo in cui sperimentare progetti e scenari. Le attività di ricerca sono basate su un metodo interdisciplinare di collaborazione e sperimentazione; internazionalizzazione e confronto; analisi e progettazione; teoria e pratica.

full.polito.it

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