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La rivoluzione archeologica è alle porte
| Marta Mieli | La voce della comunità
Una carta d’identità elettronica delle singole ceramiche per trasformare i dati in patrimonio comune
Durante le indagini archeologiche vengono ritrovati migliaia di frammenti ceramici prodotti nelle epoche più diverse, dalla preistoria ai giorni nostri. Questi frammenti forniscono moltissime informazioni: permettono di datare, in alcuni casi in un ambito di soli 20 anni, le azioni compiute nel passato dagli uomini, di risalire alle occupazioni che svolgevano, al loro status sociale, al genere, ecc.
Per ottenere queste informazioni è necessario riconoscere questi frammenti. Attualmente, però, questa operazione è molto lunga e richiede competenze molto specialistiche. Gli stessi esperti conoscono solo alcuni tipi di ceramica e per lo più legati ad un determinato periodo. Inoltre, in molti casi gli scavi sono effettuati da professionisti nell’ambito della costruzione di opere pubbliche o private. Queste ditte archeologiche spesso devono agire con tempi più ristretti di uno scavo di ricerca e possono fare affidamento su un minor numero di specialisti del settore.
Nasce così l’esigenza di fornire ai ricercatori uno strumento da campo efficace che possa riconoscere velocemente un tipo ceramico attraverso una semplice foto scattata da un dispositivo mobile e permetta di condividere in tempo reale i dati (nuovi riconoscimenti e nuove localizzazioni) con altri utenti. In altre parole, creare un archivio che sia valido per tutto il mondo antico e che possa essere utilizzato da qualunque ricercatore, studioso o appassionato in qualunque luogo si trovi.
Questo è il principale obiettivo del Progetto ArchAIDE,(Archaeological Automatic Interpretation and Documentation of cEramics) finanziato dall’Unione Europea sul programma H2020.
A fornirci maggiori dettagli sul progetto ArchAIDE, coordinato dal Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere dell’Università di Pisa, è Gabriele Gattiglia, ricercatore in Metodologia della ricerca archeologica presso il Laboratorio MAPPA.
Dott. Gattiglia, ci può raccontare il progetto?
Il sistema funziona attraverso due diverse reti neurali create appositamente per riconoscere le decorazioni sulla ceramica e i profili, cioè le forme stesse della ceramica. Una volta effettuata la foto (ed eventualmente estratto il profilo) i dati vengono inviati al classificatore che restituisce 5 risposte con un diverso grado di accuratezza. Il processo fin qui descritto non richiede particolare disponibilità di banda, perché tutte le elaborazioni avvengono nel sistema centrale (lato server) della app. Ogni risposta può essere tuttavia verificata dall’utente accedendo al database, dove sono archiviati non solo dati testuali, ma disegni, immagini, mappe dinamiche e modelli 3D che permettono di avere maggiori informazioni e di verificare l’esattezza della risposta. Però, nel caso in cui si voglia verificare l’esattezza della risposta, e acquisire maggiori informazioni, un’elevata disponibilità di banda sicuramente permette una migliore e più rapida risposta.
Attualmente quali sono i maggiori utilizzi della rete?
L’addestramento e il test delle reti neurali alla base dei meccanismi di classificazione avviene attraverso la creazione di insiemi molto estesi di immagini e profili di reperti classificati da personale esperto o reperiti presso strutture museali e depositi. La creazione dei “training set" per l’addestramento delle reti e dei “test set" per la validazione degli algoritmi riguarda decine di migliaia di campioni e può avvenire soltanto in modo cooperativo coinvolgendo un ampio numero di ricercatori ed esperti che collaborano attraverso la rete per gestire i repository e scambiare i materiali.
Che tipo di risorse utilizzate per il calcolo dei dati?
La versione attuale dell’infrastruttura ArchAIDE opera su server virtualizzati con sistema operativo Debian. Le macchine utilizzate per il training delle reti neurali sono host fisici con sistema operativo Ubuntu e schede grafiche (GPU) per l’accelerazione del processo.
“Creare e implementare un database open data", può spiegarci meglio di cosa si tratta?
In campo archeologico, avere dati aperti non è facile e avere grandi quantità di dati sembra quasi impossibile. Per il progetto ci siamo concentrati sui dati relativi alla distribuzione della ceramica. Sono dati relativi ai luoghi di produzione e ai luoghi di ritrovamento di ogni tipo ceramico, che sono spesso di difficile reperimento. Per un tipo ceramico particolare (Terra Sigillata), prodotto nei primi secoli dell’Impero Romano, siamo riusciti a collezionare circa 250.000 dati. Questi dati saranno disponibili per gli utenti, ma saranno anche integrati con i dati che gli utenti creeranno con l’utilizzo dell’applicazione, realizzando un dataset aperto sempre più vasto ed aggiornato.
Se non ci fossero risorse tecnologiche di questo tipo, quali sarebbero i tempi per ottenere gli stessi risultati?
Ad oggi il processo di riconoscimento delle ceramiche rinvenute negli scavi archeologici è estremamente lento. Estremamente lento quando è possibile portarlo a termine. In molti casi è impossibile catalogare tutte le ceramiche ritrovate per motivi di tempo o di spazio oppure perché non si trova un esperto di quella classe ceramica o di quel periodo.
La raccolta integrata delle informazioni, attualmente, è presente principalmente nei cataloghi delle ceramiche, che riassumono la conoscenza di una determinata classe ad un particolare momento. Sono lavori molto importanti, che richiedono anni di lavoro e, una volta pubblicati, non riescono ad essere aggiornati con i continui rinvenimenti e le nuove catalogazioni. Inoltre, per molte classi ceramiche non esistono cataloghi unici, ma le tipologie sono disperse su molteplici pubblicazioni.
Un dato, purtroppo empirico, stima che la maggior parte delle ceramiche degli scavi degli ultimi anni non sia stato mai catalogato.
Cosa cambierà nell’immediato futuro?
Quello che abbiamo creato finora è un prototipo che lavora solo su alcuni tipi di ceramica. Un prototipo che abbiamo dimostrato funzionare con un’accuratezza del 75%. Quello che ci aspettiamo in futuro sarà la possibilità di avere sul proprio smartphone informazioni dinamiche che prima erano contenute in decine di cataloghi cartacei statici e la possibilità di aiutare gli archeologici in una fase difficile e molto lunga del proprio lavoro.
Gli archeologi non solo potranno sapere di quali ceramiche si tratta, ma potranno visualizzare in tempo reale dove queste ceramiche sono state prodotte, esportate, dove sono state rinvenute, l’analisi della rete di distribuzione al variare della cronologia, e così via.
Grazie a questa app potremo contare quindi su un’immediata identificazione delle singole ceramiche, riuscendo con maggiore facilità a datare i contesti archeologici e comprendere i flussi commerciali e le interazioni sociali avvenute nel passato.
Gabriele Gattiglia durante un’attività divulgativa per i più piccoli.Attraverso il gioco del memory i bambini hanno potuto scoprire come il sistema di deep learning impara a riconoscere i frammenti
ArchAIDE
Nel progetto ArchAIDE sono coinvolti oltre 35 tra ricercatori, informatici, designer, video makers provenienti da 9 tra università, centri di ricerca pubblici e società private di 5 paesi (Italia, Germania, Gran Bretagna, Israele, Spagna).
Ecco come funziona ArchAIDE: pochi passaggi per semplificare la vita degli archeologi.
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