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Quando inventai Gmail
Quando inventai Gmail

Quando inventai Gmail

| Claudio Allocchio | Speciale 30 anni di Internet
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I primi esperimenti per riuscire a spedire email e l'importanza di dialogare con tutti

In tanti mi domandano come abbiamo cominciato a mettere insieme le reti, quali siano state le prime cose che abbiamo inventato e così via. Abbiamo iniziato in una maniera molto banale: la rete ci serviva per lavorare e ci sembravano assurde certe cose che semplicemente non erano possibili.

Claudio Allocchio Claudio Allocchio
Coordinatore gruppo MAIL-ITA
Attualmente è Responsabile Servizi avanzati GARR
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Nell’84 me ne stavo a Ginevra al CERN in qualità di "fisico alle prime armi" ed esperto di elaborazione grafica e non riuscivo a mandare file o messaggi al calcolatore di fianco perché io avevo un VAX mentre l’altro era un IBM. L’unica maniera per dialogare con il collega che aveva un IBM era telefonargli. Capito questo, cominciammo a domandarci perché mai potevamo mandare una mail a Bologna ad un altro VAX, ma non al calcolatore della stanza accanto. E così, da bravi fisici, abbiamo cominciato a lavorare per risolvere il problema: non la quadratura del mondo, ma questo banale semplice ma difficile problema!

All’inizio facemmo in modo che il VAX fosse visto come una periferica, un lettore di schede perforate, e sottoponesse un job all’IBM, così che quello ricevesse un comando e si auto-spedisse un messaggio che era in realtà la stessa mail che era arrivata dal VAX.

Ciao Giorgio, memoria storica dell'Internet italiano

Giorgio GiunchiProprio nell’anno del trentennale dell’Internet italiano, è venuto a mancare Giorgio Giunchi: una figura chiave della storia dell’informatica in Italia e un carissimo amico del GARR. Fu lui a definire gli esperti che costituirono il Gruppo per l'Armonizzazione delle Reti della Ricerca come "il gruppo di via Panisperna dell'Internet italiano".
Negli anni aveva raccolto e archiviato testimonianze e documenti sulla storia dell'informazione automatica in Italia, diventando punto di riferimento nel ricostruire i fatti che avevano caratterizzato il mondo dell'ICT nazionale. Giunchi aveva contatti frequentissimi con GARR e la sua comunità ed era stato spunto di informazioni e di confronto nelle celebrazioni del ventennale della Rete.
Lo vogliamo ricordare attraverso le parole di Riccardo Luna, Digital Champion Italiano: "E’ morto Giorgio, e siamo tutti più soli. Anche se non lo conoscevate. Anche se non sapete chi era. Lui stava lavorando per voi. Lo ha fatto per tutta la vita. Ha lavorato per la crescita di Internet in Italia. Per la diffusione di una vera cultura digitale. Per la rivoluzione, per la rivoluzione bella e pacifica che in tanti fra noi sognano. Era un rivoluzionario, Giorgio Giunchi, uno vero.

Risultato? Dopo due giorni, Hank Nussbacher, che ora è il capo della rete della ricerca israeliana, telefona al povero studentello (che ero io) e gli urla contro di tutto perché gli aveva mandato in tilt il mainframe. Il motivo? Il nostro sistema per far riconoscere il job dal secondo calcolatore conteneva una sequenza di caratteri che, come scoprimmo dopo, erano il comando di reset del job controller. Quindi, io inviavo il mio messaggio e il job controller si fermava. E con lui tutta la produzione del mainframe del centro di calcolo del CERN.

Dopo quest’esperienza, capimmo che era il caso di non improvvisare e mettersi a studiare... Fu a quel punto che ci rendemmo conto che nessuno aveva mai realizzato prima un sistema per spedire ovunque le email! Preso atto di ciò, cominciammo a pensare a come realizzare un sistema per far parlare due sistemi operativi diversi, possibilmente senza mandare in crash il centro di calcolo del CERN nel processo.

Documento presentato nel 1987 quando fu creato il gruppo MAIL-ITAIntanto, avevamo capito alcune cose: che non eravamo gli unici a porsi il problema e anche che, poiché gli Inglesi guidano a sinistra, si erano inventati un sistema tutto loro, il greybook of email services, mentre altri ancora usavano UUCP per mandare mail. Insomma ognuno parlava la lingua che gli pareva e nessuno prevedeva un linguaggio comune! Allora ho chiamato altri tre studenti programmatori che erano al CERN (io scrivevo in FORTRAN, loro sapevano il C!) e dopo un anno inventammo il primo CERN mail gateway. All’inizio funzionava solo all’interno della rete locale, ma non ci importava nulla di parlare con gli altri. Come l’http/html fu inventato per leggere più facilmente i manuali, così la mail a quei tempi ci interessava semplicemente per parlarci tra di noi dentro la LAN, un paio di km quadrati in tutto!

Quando poi rientrai in Italia, mi resi conto che avevamo anche qui lo stesso problema, non sapevamo mandarci mail: tra quelli dell’INFN che usavano DECnet, quelli del CNR di Pisa che cominciavano a usare i primi TCP/IP e tra le università con il CINECA che usavano i mainframe con IBM VM, nessuno riusciva a comunicare con gli altri.

Così, con alcune altre persone “illuminate” cercammo di fare qualcosa. Tra queste persone c’era un certo Silvano Gai del Politecnico di Torino che all’epoca già scriveva libri sul TCP/IP per spiegare agli studenti come si usava questo nuovo protocollo. Con lui decidemmo di chiamare tutti, ma proprio tutti, compresi i primi “commerciali” che cercavano di fare servizi per questo settore ancora agli albori, e li riunimmo al Politecnico in una giornata bollente di luglio del 1987, che io resi ancora più bollente con una lezione-seminario-proposta che durò otto ore: avevo cominciato alle 8 del mattino e alle 16 ero arrivato alla slide “Conclusioni: e adesso che cosa facciamo?”. Quella sera finimmo alle 22, perché dopo la mia ultima slide tutti si erano messi a discutere. Fu allora che creammo il gruppo MAIL-ITA, un gruppo di lavoro per risolvere il problema di come far funzionare la posta elettronica in Italia e fare in modo che chiunque potesse inviare un mail a tutti gli altri.

A quei tempi io avevo già un po’ di software che funzionava, tra cui l’interfaccia dell’utente che si chiamava “Gmail” – che stava per “Generic mail” e non “Google mail” visto che Google ancora non era nemmeno nell’anticamera del cervello dei suoi inventori. Nella mia presentazione vi era quindi un gruppo di slide in cui facevo vedere quest’oggetto che permetteva di inviare mail a chiunque nel mondo fosse lì a ricevere. Bisogna dire che le spediva soltanto, non era capace di riceverle, ma per noi era già più che sufficiente: lo scopo era farle arrivare dall’altra parte. Le mail arrivavano e, dopo un po’ di lavoro di standardizzazione, il sistema funzionava bene. Il gruppo di lavoro fu un successo, tanto che ne vennero fuori altre cose, che poi sono diventate storia: il gruppo di lavoro per la standardizzazione dei domini, l’autorità per regolamentare i nomi a dominio in Italia, il registro italiano e così via... Dopo alcuni anni venne anche a concludersi quella che potremmo definire la “guerra dei protocolli” – tra DECnet,  IP,  SNA,  x25 alla fine è stato il mercato a decidere cos’era meglio: TCP/IP, che era più flessibile e funzionava in modo più aperto in generale..  E quindi i mail gateway li abbiamo dimenticati e messi nel cassetto della storia, anche perché costavano cari e richiedevano persone molto esperte per configurarli.

Il primo Internet vero quindi è stato l’Internet del mail, perché è stato il primo caso in cui tutte le reti riuscivano a parlarsi tra di loro. Poi c’è stato il file transfer, con cui si riusciva a passare i file da una rete all’altra. Solo in seguito è venuto l’Internet vero, in cui tutti usavano il protocollo TCP/IP, ma è nato così, un pezzo per volta...

Un esempio che dà l’idea di come fossero allora le cose, riguarda quando cominciammo a parlare con i primi fornitori per progetti comuni – in particolare l’Olivetti, che ai tempi faceva computer e servizi molto seri. l’Olivetti era basata ad Ivrea ed io a Trieste, ma l’unico modo per mandare un’email da Trieste a Ivrea era passare da San Josè, dove c’era l’unico punto di contatto tra la rete della Olivetti e la rete Internet su cui mi trovavo io: così, quando avevo un problema... telefonavo in California!

Aneddoti di questo genere fanno capire che c’erano poche persone con molta buona volontà, che cercavano di far funzionare la rete e far parlare tutti con tutti; e che a parte la rete di persone umane e la rete di competenze che tenevano insieme il tutto, stava nascendo un sistema che doveva scalare all’insù, diventare automatico e far sparire le persone e i gateway – e così è successo. È anche per questo che di quel nome Gmail - che inventai probabilmente nell’84 e la cui prima traccia scritta risale all’87 ce ne siamo dimenticati tutti fino a che il "signor Google" ha re-inventato Gmail e l’ha proposta a tutto il mondo.
Tempo fa, facendo un po’ di ordine, ho ritrovato il pacco di oltre 60 slide (quelle fatte a mano che nell’87 avevo propinato alla platea per otto ore) e tra queste la slide in cui descrivevo Gmail. La prima cosa che ho pensato è stata di spedirla a Vint Cerf – che oltre al noto ruolo di "papà del TCP/IP" adesso è anche vicepresidente di Google -  dicendo “Vint, guarda: l’invenzione di Gmail! – L’avessi registrata mi dovresti dare un sacco di soldi.. Non l’ho fatto e resto povero, ma va bene così..” e Vint Cerf l’ha usata pochi giorni fa per la sua presentazione all’evento di apertura del trentennale di Internet in Italia all’Ambasciata italiana a Washington.

Qual è la filosofia di tutto questo? Che per fare cose utili bisogna avere un problema da risolvere. Risolvere problemi inesistenti non è come funziona la ricerca scientifica e le reti della ricerca come la rete GARR: noi avevamo un problema da affrontare (riuscire a mandare un’email) e praticamente abbiamo inventato l’Internet del mail. Creare un prodotto e poi cercare di venderlo all’utenza è quello che fa l’altra parte del mondo, quello che sono i servizi commerciali. È lo spirito di collaborazione invece che ancora fa funzionare le reti della ricerca.

Una cosa importante è che un problema si risolve se le persone collaborano tra loro, si parlano e non inventano la ruota ogni volta da capo. Questo atteggiamento di reinventare è un problema che noi umani abbiamo e continueremo ad avere, ce l’abbiamo addirittura quando definiamo nuovi protocolli e gli standard dell’Internet Engineering Task Force: imparassimo a non dimenticarci di cosa è stato fatto prima, magari potremmo evitare di rifarlo. Morale della favola: è importante studiare il passato e le celebrazioni come quelle dei 30 anni di Internet non dovrebbero semplicemente servire per autoglorificarsi, ma per ricordare a chi non c'era cosa è stato creato allora.

L’importante è inventare (o reinventare) qualcosa che davvero serve agli utenti e inventarlo confrontandosi con gli altri. Il più grande ostacolo che infatti c’è oggi verso la collaborazione produttiva è il voler proporre la soluzione pronta, “chiavi in mano”, senza voler parlare con la persona che la userà. Il più delle volte, l’utilizzatore sa bene cosa vuole, magari in maniera confusa e senza essere capace di spiegare chiaramente i requisiti. Uno degli aneddoti che mi ricordo ancora del mio periodo al CERN è che ci veniva raccomandato dai colleghi anziani di parlare con “quelli di fuori”. “Ogni tanto andate là fuori e parlate anche con gli altri..” ci dicevano. “Ma chi sono gli altri?” domandavo io. “Gli altri, quelli che stanno là fuori: il fruttivendolo, il cameriere...” “E perché dovrei parlarci, mi chiedevo io? Io faccio fisica delle particelle, mi guarderanno come un marziano”. Ma l’idea era questa: spiegagli quello che stai facendo perché, anche se il tuo interlocutore in realtà non sta capendo niente di quello che dici, potrebbe dirti qualcosa che risuona nella tua testa e che magari domani ti farà venire un’idea... Il nostro utente ricercatore spesso fa così, e lo dice il qualcosa... ma se non lo stiamo a sentire non andiamo da nessuna parte.

Guarda le interviste: www.garrnews.it/video-14

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