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AI: cos’è (e cosa non é)  e perché tutti ne parlano
AI: cos’è (e cosa non é) e perché tutti ne parlano

AI: cos’è (e cosa non é) e perché tutti ne parlano

| Maddalena Vario | caffè scientifico
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Colloquio con la professoressa Luigia Carlucci Aiello, una tra i massimi esperti di intelligenza artificiale.

Dell’AI si parla ormai tutti i giorni, ma cosa sta succedendo? Dobbiamo forse iniziare ad avere paura?

Paura? Non credo ci sia il rischio che l’AI possa danneggiare o addirittura distruggere il genere umano, come sostengono alcuni catastrofisti, ma credo che il portato dell’AI e della sua introduzione nel nostro quotidiano sia tale che ci debba trovare tutti attivi e partecipi del processo, per non subirne passivamente le conseguenze che potrebbero diventare anche negative. La cosa importante è quindi conoscere le potenzialità della tecnologia, capirne e monitorarne gli effetti e intraprendere azioni per eventualmente contrastarli o modificarli.

Luigia Carlucci Aiello
è stata professore ordinario di Intelligenza Artificiale presso il Dipartimento di Ingegneria informatica, automatica e gestionale Antonio Ruberti della Sapienza Università di Roma per oltre trent’anni. Fondatrice e primo presidente dell’ AI*IA, l’Associazione Italiana per l’Intelligenza Artificiale. Ha applicato tecniche di intelligenza artificiale alla costruzione di sistemi intelligenti; ha svolto ricerche sulla robotica cognitiva e sull’applicazione di tecniche di pianificazione automatica alla sicurezza informatica.

Ma di cosa stiamo parlando? Cosa è l’AI oggi?

Iniziamo dicendo che l’AI è la disciplina nata verso la metà del secolo scorso che si è sempre occupata, e continua a occuparsi, di costruire teorie e modelli sulla base dei quali realizzare manufatti con cui gli esseri umani possono avere una conversazione intelligente; manufatti che rispondono ai nostri comandi e alle nostre domande in maniera intelligente e con cui collaboriamo per risolvere problemi. Il vantaggio di collaborare con un manufatto intelligente è che ci permette di interagire usando frasi del nostro linguaggio naturale, i suoni e le immagini, piuttosto che scrivere un programma che gli indichi i passi da compiere per risolvere il problema che gli stiamo ponendo. Questo manufatto intelligente può concretarsi in un sistema software che risponde ai nostri input, con cui l’interazione avviene prevalentemente mediante uno schermo e una tastiera oppure - ed è questo che più ci colpisce e desta stupore - in sistemi fisici mobili e autonomi, ovvero nei robot.

Ma veniamo ora all’AI oggi e ai sorprendenti risultati degli ultimi anni. Gli attuali sistemi di AI si avvalgono in maniera determinante degli avanzamenti scientifici e tecnologici degli ultimi decenni, in particolare degli avanzamenti nelle tecnologie digitali e delle telecomunicazioni. Infatti, nell’osservare i sistemi di AI dobbiamo innanzitutto distinguere la componente di AI vera e propria dalle tecnologie digitali e da quelle della comunicazione. Queste ultime non sono tecnologie AI, ma svolgono un ruolo importante quali tecnologie abilitanti.

Le tecnologie digitali si occupano di costruire sistemi che elaborano informazioni e negli anni l’avanzamento è stato imponente, sia in termini di miniaturizzazione dei componenti hardware che nell’aumento della velocità di elaborazione. Abbiamo assistito ad una miniaturizzazione dei dispositivi che, al tempo stesso, sono dotati di grandi capacità di elaborazione. Un esempio sono gli smartphone che sono dotati di una potenza di calcolo che in passato era impensabile o si poteva raggiungere solo con elaboratori che occupavano un’intera stanza. Non solo, le tecnologie digitali hanno portato a tecniche di immagazzinamento, reperimento e elaborazione efficiente di grandissime quantità di dati, strutturati e non strutturati, il che ha fatto sì che oggi si parli di intelligenza dei dati. I dati vengono elaborati con algoritmi, che non sono sinonimo di AI, sebbene possano fare con i dati cose molto intelligenti.

Abbiamo parlato anche di tecnologie della comunicazione: la trasmissione di dati a grande velocità e in grande quantità, la connessione degli elaboratori in rete, qual è per esempio Internet, la tecnologia mobile 5G, forniscono una comunicazione a livello globale, rendono accessibili dati sparsamente distribuiti con i risultati che tutti vediamo, per esempio usando un motore di ricerca sul web.

Oggi, grazie ai passi da gigante fatti dalle tecnologie abilitanti, stiamo assistendo ad uno sviluppo dell’AI senza precedenti. La combinazione di tecnologie digitali, la comunicazione e i processi di miniaturizzazione dell’hardware permettono la costruzione di sistemi di AI che sfruttano la connessione con il mondo reale attraverso sensori sempre più piccoli, economici e di grande potenza. Questi, permettendo di acquisire enormi moli di dati, ci stanno portando verso l’Internet of Things e l’Industria 4.0.

Torniamo alla relazione tra AI e robotica

Come dicevamo prima AI e robotica sono due facce di una stessa medaglia. Alcuni distinguono ro-bot e soft-bot, a indicare sistemi intelligenti dotati di fisicità (i primi) e non (i secondi).

In effetti AI e robotica sono nate insieme; negli anni ‘60 e ‘70 i ricercatori costruivano i primi oggetti mobili che venivano lasciati andare e guidati da un programma, abbiamo i primi esempi col Cart dell’Università di Stanford, o con il robot Shakey sviluppato al SRI International, così chiamato perché tremolante e, negli stessi anni, abbiamo esempi di robot antropomorfi costruiti in università giapponesi.

Negli anni a seguire AI e robotica si sono separate, troppo complesso affrontare il problema della costruzione di robot che si muovono, con cui interagire, che acquisiscono dati e che possono andare in ambienti dove gli esseri umani non vogliono e non possono andare. In modo un po’ grossolano possiamo dire che i ricercatori di AI hanno dimenticato la fisicità, mentre i ricercatori di robotica si sono occupati principalmente di controllo e automazione in ambienti strutturati, facendo grandi progressi in particolare nell’automazione industriale.

La ricerca è andata avanti in maniera indipendente fino a metà anni ’90, quando c’è stata la ricombinazione di queste due discipline (la svolta si è avuta quando si è iniziato a parlare di robotica cognitiva), che porterà i robot intelligenti ad essere sempre più presenti nelle nostre vite in un futuro ormai vicinissimo.

Oggi si parla di nuova AI. Ma è davvero nuova?

Quando si parla di AI oggi tutti gridano alla novità. In effetti i risultati sono nuovi e spesso sorprendenti, tuttavia non siamo davanti a una rivoluzione, dato che si tratta di un processo iniziato a metà degli ‘40 quando sono stati costruiti i primi elaboratori elettronici e i primi visionari hanno visto cosa si poteva fare. Ci sono molti scritti di quegli anni dove il quadro di oggi si intravede, solamente che allora mancavano le tecnologie abilitanti e le risorse di calcolo che abbiamo oggi. In alcuni scritti di Alan Turing, considerato il padre dell’AI, si parla già - seppur in alcuni casi con un nome diverso - di robotica autonoma mobile, di utilizzo di reti neurali, di apprendimento automatico, o di reti di calcolatori.

Quindi l’AI non è una novità, ma negli anni passati l’abbiamo vissuta un pochino più in sordina, ora dobbiamo viverla con molta più coscienza ed essere pronti all’evoluzione dei prossimi anni, dato che assisteremo ad un’accelerazione dello sviluppo della scienza, e ad un progresso della tecnologia molto più veloce, significativo e coinvolgente di quanto non sia stato in passato. E tocca a noi fare in modo che i cambiamenti portati dall’AI e dalla robotica siano vissuti come un’evoluzione da dominare, piuttosto che una rivoluzione da subire.

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