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L’importanza di chiamarsi digital twin

| Franco Niccolucci | Caffè scientifico

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Dal modello 3D al gemello digitale dinamico: l’evoluzione del digital twin per la conservazione del patrimonio culturale

Franco Niccolucci

Franco Niccolucci è stato professore all’Università di Firenze e direttore del Centro STARC Science and Technology in Archeology del Cyprus Institute

La diffusione del digital twin nel patrimonio culturale: primi approcci

È da qualche tempo che sulle riviste scientifiche, nelle stanze della Commissione europea e nei circoli accademici il termine digital twin è molto presente. Sia che si tratti di ambiente, di medicina o di prodotti industriali, l’intenzione di integrare attività reali con i loro corrispondenti virtuali e di operare su questi ultimi anziché sugli “oggetti” concreti prospetta nuovi orizzonti alla ricerca e alla pratica professionale.

Non mancano in questo panorama di twinning i beni culturali, per i quali la creazione e l’utilizzo di duplicati virtuali si integra nella spinta alla trasformazione digitale delle metodologie più tradizionali di ricerca e applicazione: resta comunque aperto il dibattito su cosa si debba intendere per digital twin di un bene specifico. Una prima ipotesi di lavoro considera il digital twin come costituito semplicemente da un modello 3D dell’oggetto culturale arricchito da informazioni relative all’oggetto stesso. Tali informazioni sono correlate alla parte del modello 3D corrispondente al punto o all’area a cui si riferiscono nell’oggetto reale. I primi esempi di questo approccio hanno riguardato progetti di restauro, come quello della fontana del Nettuno a Bologna e, soprattutto, il restauro di Notre Dame dopo il disastroso incendio del 2019, in cui gli interventi sono strettamente collegati alla loro descrizione digitale e alla posizione corrispondente sul modello 3D dell’edificio.

Limiti dell’approccio basato sui modelli 3D

Non è chiaro, tuttavia, quanto le specificità del caso di studio e applicazione influenzino l’organizzazione dei dati connessi e in che modo oltre a costituire un‘utile documentazione per il caso specifico, ancorché di indubitabile importanza si possano generalizzare a un’intera gamma di applicazioni come richiede la spinta alla trasformazione digitale. La presenza – indispensabile secondo questo approccio – di un modello 3D spinge a considerare solo la materialità del bene in oggetto, e non facilita la considerazione dei suoi valori immateriali che di un bene culturale costituiscono una componente imprescindibile. Anche la biforcazione tra modelli 3D realizzati come nuvola di punti attraverso la scansione laser, la fotogrammetria o altre tecniche che producono lo stesso risultato e i modelli realizzati con metodologie di tipo CAD tipici dell’ingegneria e dell’architettura, contribuisce a una molteplicità di soluzioni proposte in modo disomogeneo, di difficile interoperabilità e soprattutto “congelati” all’atto dell’acquisizione dei dati. Da un certo punto di vista quest’ultimo aspetto contrasta il concetto di digital twin, che fino dalla sua origine alla NASA negli anni Sessanta del secolo scorso e in seguito nel suo sviluppo in campo industriale è caratterizzato dalla dinamicità della modellazione digitale e dalla reattività del modello rispetto a stimoli esterni, simulata digitalmente nel modello stesso.

I modelli 3D sono solo una delle componenti dei digital twin alla pari con tante altre come la documentazione storica, scientifica, le tradizioni e la cultura in generale

L’Heritage Digital Twin (HDT): un approccio olistico

È stato così proposto di introdurre un approccio olistico considerando come digital twin di un bene culturale il complesso delle informazioni digitali relative al bene stesso, di cui il modello (o i modelli) 3D sono una componente alla pari di tante altre: documentazione storica, scientifica, conservativa e di restauro, di tradizioni e cultura in generale. Ciò ha portato alla formulazione del concetto di Heritage Digital Twin (HDT) proposto alla fine del 2022 in un articolo che ha avuto immediato riscontro ed è stato premiato da un largo gruppo di ricercatori come miglior articolo recente sul tema. Si tratta di una proposta che consente di documentare allo stesso modo beni materiali e immateriali, per i quali la rappresentazione grafica non può esistere oppure utilizza altre tecniche; beni mobili e inamovibili; parti di beni culturali che sono loro stesse un oggetto rilevante individualmente, come gli edifici che formano un centro storico; e così via, abbracciando la totalità del patrimonio, senza distinzioni dettate solo dalle necessità della tecnologia digitale.

Un altro aspetto importante è l’interoperabilità di questo nuovo modello con gli standard di documentazione del patrimonio culturale di cui è un’estensione compatibile. Essa permette il riutilizzo degli archivi digitali già esistenti o realizzati con modalità diverse purché conformi agli standard internazionali per la documentazione del settore. Come dimostrato nel Progetto europeo 4CH ‘Competence Centre for the Conservation of Cultural Heritage’, il modello HDT permette di creare una base della conoscenza sul patrimonio culturale, cioè un sistema di gestione dei dati strutturato in un database che si basa sui concetti propri del digital twin e sulle loro relazioni, in una logica avanzata di tipo noSQL.

Il Reactive Heritage Digital Twin (RHDT): verso un modello dinamico

Tuttavia, il modello HDT è statico rispetto al tempo e ai cambiamenti che si verificano nella realtà: i dati sono fotografati in un preciso momento che può sì essere registrato con una marca temporale ma cambiano solo a seguito di un’immissione di nuove informazioni. Si perderebbe così la dinamicità tipica del digital twin e non si potrebbero realizzare simulazioni della realtà. È quindi stato ulteriormente sviluppato un modello che si avvicina di più alla logica del cambiamento parallelo nel mondo reale e in quello digitale. Si tratta del Reactive Heritage Digital Twin (RHDT) che comprende l’inclusione di sensori, che rilevano continuamente informazioni dal mondo reale, e attuatori, che attivano le reazioni conseguenti. Esempi molto semplici sono i sensori d’incendio che rilevano fenomeni indicativi (aumento della temperatura, fumi, ecc.) e sulla base di queste informazioni e di regole incorporate nel modello digitale possono attivare reazioni opposte, quali emissioni di azoto, acqua, allarmi ai pompieri e così via.

Un modello dinamico di digital twin si avvicina di più alla logica del cambiamento parallelo nel mondo reale e digitale

Il meccanismo sensore-regole di attivazione-attuatore è incorporato nel digital twin e può essere complesso e attivarsi non solo sulla base della rilevazione diretta di fenomeni potenzialmente pericolosi ma anche per informazioni d’altro genere, come per esempio previsioni meteo, rischi di frane e altri ancora. Quest’impostazione permette inoltre di simulare una grande varietà di circostanze e di rischi, e anche lo svolgimento in modo virtuale di attività di prevenzione, conservazione e restauro.

Il Progetto ARTEMIS e la sfida per l’integrazione dei dati

Questo modello è il fulcro del progetto ARTEMIS, a guida italiana, approvato e finanziato recentissimamente dalla Commissione europea, che inizierà nell’autunno 2024. Fra le altre novità, ARTEMIS si propone di usare i digital twin come supporto di attività di conservazione e restauro attraverso tecniche di realtà virtuale e aumentata: sarà cioè possibile svolgere virtualmente operazioni di conservazione e restauro sul modello digitale prima di eseguirle nella realtà.

Attraverso tecniche di realtà virtuale e aumentata, il progetto ARTEMIS consentirà di svolgere operazioni di conservazione e restauro sul modello digitale prima di eseguirle nella realtà

Tutto questo richiede la disponibilità di sistemi di archiviazione, gestione ed elaborazione dati appropriati. È cioè necessario recuperare attraverso il digital twin le informazioni integrando e collegando archivi diversi, da quelli del patrimonio culturale a quelli sui rischi, sulle tecniche di conservazione e restauro, sulla stabilità degli edifici e altri ancora, collegandoli in tempo reale a sistemi come Copernicus e altri sulle scienze della terra realizzati a livello europeo dalle relative infrastrutture di ricerca.

Si tratta quindi di una realizzazione complessa, che richiede la collaborazione fra realtà diverse, la realizzazione di infrastrutture dati e il contributo scientifico di ambiti disciplinari differenti per simulare i comportamenti degli oggetti digitali. La struttura modulare del Reactive Heritage Digital Twin è comunque in grado di crescere gradualmente e di produrre risultati fin dall’inizio, incorporando progressivamente più conoscenza e informazioni.

È quindi l’inizio di un processo di integrazione e sviluppo che richiederà tempo per produrre effetti concreti a larga scala, ma che ha un potenziale dirompente per la valorizzazione, la conservazione e il restauro del patrimonio culturale. In questo modo il digital twin dimostrerà la sua importanza nel mondo reale e in che modo potrà contribuire a migliorarne aspetti fondamentali come quelli culturali.

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I “gemelli digitali” nella digitalizzazione del patrimonio culturale - F.Niccolucci - Conferenza GARR 2023

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