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Direttiva Copyright: articolo 13 rimandato a settembre
Direttiva Copyright: articolo 13 rimandato a settembre

Direttiva Copyright: articolo 13 rimandato a settembre

| Federica Tanlongo | Cybersecurity

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Il 5 luglio scorso, il Parlamento europeo in seduta plenaria ha respinto l’avvio dei negoziati con il Consiglio europeo della proposta di riforma della direttiva europea sul copyright.

Il regolamento del Parlamento europeo prevede che se anche soltanto il 10% dei deputati si oppone al passaggio al negoziato di una legge votata dalla commissione affari legali, essa andrà ridiscussa, emendata e votata in sessione plenaria.

Nel caso della controversa direttiva, ben più del 10% dei parlamentari si è espresso a sfavore: 318 sono stati infatti i voti contrari, contro 278 favorevoli e 31 astenuti. Merito anche dell’estesa mobilitazione che si è creata tra i cittadini europei in relazione ad alcuni degli articoli della bozza approvata dalla commissione giuridica, in particolare gli articoli 11 e 13 – passati agli onori della cronaca soprattutto con i nomi attribuiti loro dai critici della riforma, rispettivamente “link tax” e “censorship machines”.

Al di là degli slogan, alcune misure previste nella riforma preoccupano per il rischio di limitare la libertà di condividere informazione in rete. Da più parti sono state lanciate iniziative per sensibilizzare i parlamentari in particolare sui rischi di censura – o in ogni caso di un indesiderabile eccesso di controllo sui contenuti in rete legati in particolare all’articolo 13, che prevede l’obbligo di filtrare i contenuti online e bloccare quelli che non siano in regola con la normativa. Per come è congegnata, questa misura rischia di compromettere la capacità di fare satira e condividere contenuti e opinioni in rete, almeno secondo i suoi detrattori. E tra loro ci sono anche Vint Cerf, Tim Berners Lee e altri mostri sacri di Internet, che in giugno avevano sottoscritto una lettera aperta per opporsi all’articolo 13; mentre ad esempio in Italia il voto del 5 luglio era stato preceduto dallo “sciopero” di Wikipedia – ovvero l’oscuramento per protesta delle pagine italiane da parte della comunità.

Un’altra iniziativa, stavolta a livello europeo, è la campagna #saveyourinternet, promossa dalla coalizione Copyright for Creativity, che conta tra i firmatari una quarantina di organizzazioni della società civile tra cui Creative Commons e l’Associazione Italiana Biblioteche, attive nel proporre modelli innovativi di protezione del copyright.

Anche GARR e le reti della ricerca europee si sono espresse contro l’inclusione dell’articolo 13 nella nuova direttiva. Intendiamoci: la proposta di legge risponde a una necessità sacrosanta, quella cioè di proteggere la proprietà intellettuale e, con essa, i diritti dei milioni di lavoratori dell’industria culturale, difendendo nel contempo i media di qualità. Il digitale ha profondamente cambiato il modo in cui produciamo, fruiamo e condividiamo i contenuti e un aggiornamento delle norme sul copyright che tenga conto di questi cambiamenti era senz’altro dovuto. Molti aspetti della proposta presentano anzi interessanti elementi di novità: tra questi è particolarmente rilevante per gli utilizzatori della ricerca e dell’istruzione l’intento di escludere i dati scientifici dalla direttiva sul copyright, in modo da avvicinarsi agli obiettivi della Open Science. Una novità, questa, che è invece fortemente sostenuta dalle reti della ricerca. Ciò che dal punto di vista delle reti della ricerca si mette in discussione non è quindi l’impianto generale della nuova normativa ma alcuni degli strumenti da essa proposti che, nonostante le esenzioni per la ricerca scientifica, non paiono rispondere alle esigenze di tutti gli attori e istituzioni nell'ambito della "lunga coda" della scienza. In particolare, l’articolo 13 così com’è formulato oggi avrebbe un impatto diretto sulla ricerca e sull'istruzione, in quanto obbligherebbe tutte le piattaforme, quindi anche le università, le scuole e le reti della ricerca, a effettuare il filtraggio del materiale caricato in rete.

Oltre agli effetti indesiderati del filtraggio dei caricamenti, queste operazioni comporterebbero un aumento significativo dei costi operativi e della complessità per le NREN e le università. Inoltre, il filtraggio automatico del contenuto che gli utenti caricano è contrario ai valori delle reti della ricerca e della stessa Unione Europea: invece di incoraggiare la creatività, la fiducia e la cooperazione esso pone l'accento sulla sorveglianza e il controllo degli utenti, dei fornitori e dei fattori abilitanti nel nostro campo. I finanziamenti, invece di essere allocati per la creazione e condivisione di soluzioni che portino un beneficio alla comunità della ricerca, della cultura e dell’istruzione e più in generale alla nostra società, rischierebbero di essere assorbiti dalle soluzioni IT per creare meccanismi restrittivi che filtrano i contenuti.

Si tratta quindi di fare modifiche ragionevoli alla legge, dunque, piuttosto che buttarla via. Evitare di creare un clima censorio, ma anche di ricordare che i meccanismi tecnologici che vengono proposti per sanzionare i comportamenti illegali debbono essere realisticamente applicabili, commisurati alla natura del compito che devono svolgere e soprattutto non andare a creare problemi più seri di quelli che risolvono. Ora a settembre tutti e 751 parlamentari europei avranno la possibilità di valutare e modificare la legge. C’è dunque da sperare che il buon senso prevalga. Adelante con juicio?

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