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Calcolo scientifico: condividere e fare community
| Maddalena Vario, Federica Tanlongo | Caffè scientifico
di Paola Inverardi, Coordinatrice del Board degli spoke ICSC Rettrice del GSSI Gran Sasso Science Institute
Condividere le best practice e allo stesso tempo capire dove e quando possiamo trasferire esperienza da uno spoke ad un altro credo sia fondamentale per la riuscita di questo progetto. Possiamo scegliere di fare solo coordinamento, come possiamo scegliere di fare qualcosa in più, ovvero costruire una vera e propria comunità. Il primo passo importante è quello di gestire la comunicazione. Per ora abbiamo un problema di comunicazione dall’alto verso il basso e per questo dobbiamo trovare il modo corretto di far passare l’informazione sulle linee di indirizzo che partono dalla governance della Fondazione ICSC e necessitano di arrivare agli affiliati, passando per gli spoke. È cruciale individuare lo strumento più adatto oltre che il modo migliore per passare le informazioni perché, se è vero che è importantissimo che l’informazione passi, è anche cruciale che non crei entropia in un sistema che è già di dimensioni vastissime e molto frastagliato.
La differenza tra il semplice coordinamento e la costruzione di una vera e propria comunità passa attraverso il gioco di squadra, il superamento dei particolarismi e il riconoscimento della ricchezza delle diversità
È necessario che l’informazione nel passaggio non venga distorta ed è importante che non si creino sovrapposizioni tra le attività degli spoke che spesso portano avanti attività molto simili. Per questo la comunicazione e la collaborazione, anche a livello più scientifico, diventano essenziali per evitare una duplicazione degli sforzi e nello stesso tempo mettere a sistema le competenze che abbiamo. Non solo, è essenziale uniformare le politiche, lasciando ovviamente un margine di libertà agli spoke, per creare un modus operandi comune e riconoscibile per affrontare la ricerca. Infine, è necessario coordinarsi per gestire i problemi comuni a tutti gli spoke, interfacciandosi con i laboratori e proponendo soluzioni.
Visione d’insieme
Non solo, non si può prescindere da avere una progettualità, una visione e delle aspettative comuni, per essere in grado di fare rete e poter accedere a dei fondi di innovazione tecnologica e a dei fondi competitivi di ricerca di base, a cui da singoli non potremmo accedere. Inoltre, se davvero vogliamo costruire questa comunità, dobbiamo anche pensare di mettere in campo i nostri saperi e investire sulla formazione. L’altro tema che riguarda sempre il concetto di fare comunità è quello dell’apertura e dell’inclusione, adottando una politica di apertura verso la comunità scientifica e verso le imprese.
Ed infine, una cosa che credo possa fare la differenza tra il coordinare solamente oppure costruire e sentirsi una comunità, è quella di mettere in piedi una capacità di autogoverno, con una prospettiva che vada oltre il 2026. Siamo dinanzi ad un’opportunità unica, dato che si tratta di un esperimento nazionale, che coinvolge tutta l’Italia in modo più o meno diretto ed ha il merito di fondarsi su qualcosa di molto concreto, che è appunto questa infrastruttura di calcolo che supera i confini, sia istituzionali che regionali e si offre all’intero paese. Non è un’operazione affatto scontata ed è necessario che si cambi logica, si faccia squadra e non si giochi da singoli, per mettere invece tutto a fattor comune. Siamo eterogenei a livello di discipline e di organizzazione e siamo distribuiti geograficamente, dato che ci sono le università, gli enti pubblici di ricerca, i centri di ricerca pubblici e privati e le aziende. Infine siamo diversi nel modo con il quale interpretiamo il nostro modo di lavorare. Secondo me tutta questa diversità è una grande ricchezza, a patto che siamo in grado mettere tutto a sistema.
Ricordo che, subito dopo l’università di Scienze dell’Informazione a Pisa, ho lavorato per 3 anni presso l’Olivetti, considerata allora un player mondiale nel suo campo. Ero coinvolta nel primo progetto nazionale di informatica e per questo sono stata esposta a una comunità nazionale eterogenea, sia nella formazione che nel modo di lavorare, e ritengo che a quei tre anni io debba molto di quello che sono oggi. Penso che con questo progetto abbiamo la possibilità di creare quel tipo di contesto e fare in modo che si possa crescere in un ambiente eterogeneo e pieno di competenze, che ha obiettivi e sfide importanti. Abbiamo bisogno di un’infrastruttura virtuale che ci sostenga nella comunicazione, nella condivisione dei documenti e nella progettazione comune. Abbiamo bisogno di intensificare il rapporto con l’Industrial Board e con il gruppo di ricerca che si occupa dell’impatto sociale ed economico e stiamo cominciando a pensare alla creazione di gruppi di lavoro. È una sfida molto importante quella che ci aspetta e la cosa certa che ad oggi sappiamo è che solo lavorando tutti insieme capiremo come affrontarla al meglio.
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