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Il dito della tecnologia e la luna della scienza
Il dito della tecnologia e la luna della scienza

Il dito della tecnologia e la luna della scienza

| Renzo Davoli | Ieri, oggi, domani

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Un antico proverbio cinese dice: quando il saggio indica la luna, lo stolto guarda il dito. Le tecnologie della elaborazione e della comunicazione ci hanno dato strumenti potentissimi, ritenuti impossibili solo qualche decennio fa.

Pochi però si sono accorti che non è questa la vera rivoluzione che sta caratterizzando il nuovo millennio. Questo è solo il dito. La tecnologia è solo il mezzo, non il fine.

Renzo Davoli
Insegna all'Università di Bologna ma è anche hacker e attivista del software libero. Ha 51 anni, la sua età anagrafica però non coincide con la sua età ludica: non ha mai smesso di giocare. Smonta e rimonta, crea e costruisce teorie, concetti, programmi e apparati elettronici. È professore di informatica all'Università di Bologna dove insegna ai suoi studenti a giocare e a divertirsi come lui. Gli piace guardare la luna.

La rivoluzione digitale consiste nella separazione fra materia e conoscenza, fra hardware e software. Oggi tutto è diventato software: romanzi, poesia, musica, filmati, programmi per l’elaborazione e la comunicazione, ricette di cucina, barzellette... Il sapere umano non ha più necessità di carta, vinile, celluloide o di altro supporto fisico specifico per essere mantenuto, trasferito, copiato. La potenzialità di questa innovazione è dirompente. Il costo della divulgazione della conoscenza ora tende a zero. Possiamo oggi avere a disposizione una quantità di informazione impensabile in passato. Però ancora guardiamo il dito.

I nostri ragazzi crescono usando fantastici dispositivi elettronici, tablet, LIM, che consentono di usare programmi e app. Ma questo è solo un Paese dei Balocchi e i giovani ne sono naturalmente attratti come tanti moderni Pinocchietti. Come insegnanti e genitori dobbiamo diventare Fate Turchine, capaci di intervenire prima che vengano trasformati in tanti ciuchini. Douglas Rushoff ha coniato il motto: “Program or be Programmed”. Questo è il problema. I nostri studenti sono spettatori o protagonisti del software? Siedono nel “posto di guida” dei loro stupendi apparati tecnologici o sono solo meri passeggeri? Partono dal problema concreto e riescono a fornire una soluzione o chiedono ai loro strumenti cosa sia loro consentito o vietato fare? Come si comportano quando ricevono un risultato inatteso, si manifesta un errore, una elaborazione o una comunicazione non può essere completata? Sanno trovare il bug, “riparare” la conoscenza, correggere i programmi? Hanno un modello mentale di come funzionino fisicamente e logicamente gli strumenti che utilizzano?

Io sono un informatico, e come informatico mi sento veramente offeso da quanti pensano che io sia uno studioso delle macchine. Io studio come risolvere i problemi delle persone in modo automatico. Occorrono informatici molto in gamba al fianco dei biologi per elaborare l’enorme mole di dati generata dalla decodifica del DNA e poter debellare gravi malattie. È merito anche degli informatici se insieme ai fisici sia oggi possibile investigare i segreti della materia e dell’origine dell’universo. Riuscire ad elaborare i dati generati da acceleratori di particelle come il LHC del CERN a Ginevra è una sfida avvincente. L’informatica è una scienza. Si studia nelle aule e non nei laboratori.

Program or be programmed. Questo è il problema. E i nostri studenti sono spettatori o protagonisti del software?

Non è un biologo chi sa mettere a fuoco un microscopio così come non è un informatico chi sa usare i programmi. I laboratori, le LIM, possono essere solo strumentali ma oggi se ne può fare a meno. È l’essere, il conoscere, il software l’oggetto delle lezioni, non la tecnologia, l’avere, l’hardware. Oggi con 30 euro i nostri ragazzi possono avere computer più potenti di quelli presenti nei laboratori di molte scuole. E al contrario dei computer delle scuole i Raspberry PI consentono agli studenti di giocare, provare diversi sistemi operativi, scrivere i loro programmi, modificare il sistema operativo, scrivere i propri protocolli di comunicazione o costruire e interfacciare circuiti elettronici autocostruiti. E già all’orizzonte si vedono computer che costeranno 9 dollari: il progetto Chip su kickstarter ha già superato il milione di dollari di finanziamento. Interi laboratori logici possono essere creati e distrutti in pochi minuti nella nuvola, se servono per svolgere una lezione. La rete in tutto questo è centrale.

I nostri studenti devono comunicare. “Per educare un bambino ci vuole un intero villaggio”, dice un proverbio africano. Il villaggio globale dei nostri studenti è l’Internet. La scuola non può più essere anacronistica a chiedere nozioni da studiare su libri fisici o elettronici. Conoscere la data di nascita di Napoleone o la sintassi della system call “poll” sono concetti inutili. Basta un click per poter avere l’informazione cercata. L’apprendimento deve essere funzionale ad alimentare la creatività degli studenti e proprio il grado di creatività deve essere il metro di valutazione del valore degli studenti. La scuola oggi deve investire in connettività. È inutile acquisire nuovi PC, tablet o LIM, apparati che in pochi anni diventeranno obsoleti e finiranno come i tristi videoregistratori sui carrellini ancora presenti in tante scuole. Occorre investire in reti. Prese di corrente (ad esempio, USB a bassa tensione) e di rete ad alta velocità dovrebbero essere presenti in ogni banco. Occorre un access point in ogni aula e tante microcelle LTE nelle scuole. Così si moltiplica la banda e si riduce drasticamente l’inquinamento elettromagnetico. Pensare di bloccare la comunicazione fra studenti, far spegnere i cellulari o i tablet oggi è impensabile come obbligarli ad usare il pennino ed il calamaio. Il ruolo del GARR è fondamentale. Il GARR non è un provider di connettività, è costituito da persone, prima che da reti.

Sono le persone che hanno sempre consentito all’Italia della ricerca di vivere nel futuro delle reti. È un centro di sperimentazione e sviluppo. Occorre portare questa sensibilità nelle scuole. Occorre fare in modo che gli studenti non considerino la rete come “legacy”, cioè come infrastruttura data e intoccabile. Occorre promuovere piattaforme e concorsi per scatenare la creatività degli studenti anche nei protocolli di comunicazione ad ogni livello. Questo è nel DNA del GARR. Smettiamo fin da subito di insegnare nelle scuole l’uso di programmi, aboliamo tutte le inutili “patenti” e facciamo giocare i nostri studenti. Questo non è il Paese dei Balocchi ma è la bottega di Mastro Geppetto. Si gioca a costruire. E si apprende quanto sia appagante la gioia dell’artigiano. Siamo gli artigiani intellettuali del XXI secolo. Vedete ora come è bella la luna?

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