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Insieme in corsa per l’exascale
| Elis Bertazzon | Internazionale
Accordo tra gli Stati europei per il prossimo capitolo del supercalcolo
Dallo sviluppo dell’Internet delle cose, ai nuovi traguardi nelle biotecnologie e nell’intelligenza artificiale, alla progressiva digitalizzazione ed automazione dei processi industriali, ovunque nel pianeta si assiste ad un bisogno inarrestabile di potenza di calcolo e le più grandi potenze mondiali si sfidano nel trovare soluzioni sempre più veloci e potenti.
Il cosiddetto supercalcolo (o HPC, High Performance Computing) è da tempo considerato un settore strategico anche da molti Paesi europei. Tuttavia, fino a poco tempo fa, mancava una visione comune e ognuno di essi puntava sulle proprie infrastrutture nazionali. Già nel febbraio 2012, la Commissione europea aveva pubblicato la HPC strategy, una strategia per il supercalcolo intitolata Il posto dell’Europa in una sfida globale, nella quale esortava gli Stati membri ad unire le forze per una leadership europea nella fornitura ed uso di sistemi di supercalcolo entro il 2020. Da allora però l’Unione è rimasta in secondo piano nella corsa globale al supercalcolo, posizionandosi dopo Cina e Stati Uniti per potenza dei suoi calcolatori ma anche per il livello della ricerca volta allo sviluppo di macchine sempre più potenti.
È il caso dell’exascale computer, la nuova frontiera dei calcolatori ad alte prestazioni che sarà capace di raggiungere capacità di calcolo finora impensabili: 1018 calcoli al secondo, quasi 100 volte di più delle attuali tecnologie disponibili in Europa.
L’UE OGGI FORNISCE SOLO IL 5% DELLE RISORSE HPC NEL MONDO, CONSUMANDONE IL 30%, MA QUALCOSA STA CAMBIANDO
Cina e Stati Uniti si stanno muovendo velocemente, attraverso ingenti investimenti per sviluppare un ecosistema di supercalcolo nazionale e creare questo super supercomputer. Diversamente, l’Unione attualmente fornisce circa il 5% delle risorse HPC nel mondo, ma ne consuma circa il 30%. Questa condizione di dipendenza comporta il rischio di rimanere bloccati tecnologicamente e, soprattutto, di non avanzare nella ricerca scientifica che, attraverso gli exa-computer, si appresta ad aprire nuovi scenari (per esempio nelle scienze dei materiali o nelle neuroscienze).
Qualcosa però sta cambiando e sembra che sia finalmente arrivato il momento per l’Unione di cambiare strategia. Così, lo scorso 23 marzo, in occasione del Digital Day a Roma, 7 Paesi europei hanno firmato una lettera di intenti per suggellare la collaborazione intergovernativa verso un’infrastruttura europea integrata di supercalcolo che, insieme alle infrastrutture di rete, darà nuovo impulso alla ricerca scientifica e all’industria in Europa.
Il progetto Euro-HPC
Il documento intergovernativo stipulato da Germania, Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Lussemburgo e Paesi Bassi in collaborazione con la Commissione prevede di arrivare entro l’anno ad un accordo quadro per lo sviluppo di una rete di supercalcolo che coordini i 21 supercomputer che già operano in Europa (il maggiore dei quali è quello del consorzio interuniversitario italiano Cineca di Bologna, al quale sono connessi 70 atenei italiani).
LA COLLABORAZIONE È ESSENZIALE: NESSUNO STATO EUROPEO DA SOLO PUÒ COMPETERE CON USA E CINA
Nell’accordo verranno definiti i requisiti tecnici e operativi insieme alle risorse finanziarie necessarie, verrà definito il quadro legale e sarà dato il via al processo di acquisizione delle risorse per ottenere due pre-exascale computer nel periodo 2019-2020 e due exascale computer nel periodo 2022-2023. Con la lettera d’intenti, questi Paesi si impegnano a realizzare la prossima generazione di infrastrutture digitali per l’elaborazione dei dati, un progetto che per ambizione ed importanza è paragonabile ad Airbus negli anni Novanta e a Galileo nei primi anni 2000.
Tale infrastruttura servirà anche da supporto per il cloud europeo per la scienza, che offrirà ai milioni di ricercatori e professionisti della scienza e della tecnologia in Europa un ambiente virtuale in cui immagazzinare, condividere e riutilizzare i dati, superando le barriere settoriali e i confini nazionali.
Ora la sfida per gli Stati membri è la stesura di una roadmap per lanciare l’infrastruttura. Essa dovrebbe affrontare gli aspetti riguardanti la supply chain del progetto, dai requisiti operativi allo sviluppo di una tecnologia competitiva made in Europe. L’accordo punta infatti anche allo sviluppo locale della tecnologia per questo ecosistema, ottimizzata con un approccio co-design, e alla sua integrazione in almeno uno dei due futuri exascale computer. Ciò significa non solo acquisire ed operare degli HPC ma anche svilupparne le parti tecnologiche chiave in Europa, come i processori a basso consumo e l’architettura dei sistemi, i software e le applicazioni. Questa roadmap dovrà inoltre affrontare la tematica dell’incontro di risorse tra pubblico e privato per finanziare il progetto.
Infine, l’accordo ricorda l’importanza di rendere disponibile tale infrastruttura a tutta la comunità scientifica europea, indipendentemente dalla posizione in cui si trovano i supercomputer, così come al settore industriale e pubblico.
Perché un impegno comune?
Il ruolo delle infrastrutture digitali oggi è stato paragonato da Andrus Ansip, vicepresidente della CE e Commissario al Digitale, a quello giocato dall’industria del carbone e dell’acciaio nel rilanciare l’Europa nel secondo dopoguerra.
I supercomputer e la loro capacità di analizzare enormi quantità di dati in tempo reale offrono alla scienza e all’industria grandi opportunità. In ambito medico l'HPC permette l’elaborazione di nuovi farmaci e la simulazione dei loro effetti prima della loro produzione, e fornisce strumenti di diagnosi medica sempre più veloci e personalizzati. In ambito delle telecomunicazioni e della sicurezza, esso permetterà transazioni più sicure e in ambito industriale permette di ridurre notevolmente i tempi di produzione attraverso degli strumenti di simulazione, per esempio nell'industria aerospaziale e automobilistica. Ma i singoli Stati europei da soli non hanno la capacità di competere con le grandi potenze americane e cinesi, per questo la collaborazione in questo settore è essenziale.
A che punto siamo?
Fare rete e fare squadra, questo è quanto serve per arrivare alla realizzazione di questo ambizioso progetto. In un periodo storico in cui sembrano aumentare le forze centrifughe all’interno dell’UE ecco che la sfida dell’innovazione porta nuova energia alla collaborazione tra Stati. E, dopo la firma di Roma, sembra proprio che questa sfida sia stata colta e altri Paesi siano pronti ad aggiungersi, come il Belgio e la Slovenia, che hanno aderito al progetto recentemente.
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