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Una fibra per “sentire” il pianeta
| Elis Bertazzon | osservatorio della rete
Il sensing: come sfruttare le infrastrutture in fibra ottica per un monitoraggio geofisico
La fibra ottica è forse il tipo di infrastruttura che raggiunge in maniera più pervasiva ogni angolo del pianeta, sia sulle terre emerse che sui fondali oceanici. Una vera e propria ragnatela che raggiunge gran parte del globo. Normalmente, siamo abituati ad utilizzarla per trasmettere dati, ma forse non tutti sanno che le fibre ottiche sono estremamente sensibili alle variazioni dei parametri dell’ambiente in cui si trovano, al punto da poter essere utilizzate come dei veri e propri sensori. Ed è proprio il sensing l’argomento che la ricercatrice Cecilia Clivati dell’Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica (INRIM) ha presentato al Workshop GARR, nella sessione dedicata alle applicazioni della rete...oltre i dati.
Che cos’è il sensing distribuito e perché ha un grosso potenziale per la ricerca?
La fibra ottica è un buon sensore perché è facilmente influenzabile dalle variazioni dell’ambiente in cui si trova. Se il terreno si deforma, per esempio a causa di un terremoto o quando raggiunto da un’onda sonora, anche la fibra in esso posata si deforma meccanicamente. Anche variazioni di temperatura possono influenzare la fibra, perché cambiano la densità del vetro di cui essa è costituita. Tutto ciò si traduce in disturbi del segnalo ottico trasmesso, sotto forma di variazioni della fase o del piano di polarizzazione della luce.
Quello che da una parte è un disturbo per la trasmissione dati, cambiando prospettiva diventa una fonte continua di informazioni sull’ambiente in cui la fibra si trova. Per esempio, possiamo pensare di sfruttarla in ambito geofisico per il monitoraggio di terremoti e attività vulcanica, oltre che per una varietà abbastanza ampia di attività umane (come il traffico) e per rilevare eventi come venti forti, l’andamento delle onde del mare e la genesi di tsunami o ancora il rilevamento dei segnali ultrasonici che si scambiano i cetacei per comunicare in mare aperto.
L’idea non è nuova: i sensori in fibra ottica esistono infatti già dagli anni 80. Tuttavia negli ultimi 20 anni è cambiato l’approccio: allora si pensava di inserire elementi in fibra ottica in sensori discreti, mentre oggi si intende utilizzare come sensore la rete stessa delle telecomunicazioni, che garantisce una copertura maggiore e più capillare del territorio. In particolare, negli ultimi 10 anni questo approccio ha ricevuto molta attenzione dagli esperti di geofisica.
Le potenzialità della rete ottica per la scienza sono indubbie, soprattutto considerando le importanti prospettive di crescita per gli anni a venire di questa infrastruttura così capillare.
Come funziona il sensing distribuito?
Ci sono diverse tecniche per sfruttare le fibre ottiche come sensori. La tecnica più utilizzata è basata su Optical Time Domain Reflectometry (OTDR), la stessa utilizzata per misurare l’attenuazione e le discontinuità delle fibre, che permette di mappare con continuità e buona risoluzione spaziale le deformazioni del terreno lungo tutto il percorso della fibra ottica. Questa tecnica è stata utilizzata con successo per monitorare infrastrutture critiche, terremoti, osservare eventi vulcanici e movimenti di masse nevose e ghiacciai. Il problema di questa tecnica è che, essendo basata sulla riflessione del segnale, non è facilmente integrabile nelle reti dati che sono gestite per lo più in maniera unidirezionale e bloccano la riflessione dei segnali. Ciò comporta l’utilizzo di fibre dedicate, che ne limitano le prospettive in termini di scalabilità.
Ci sono però altre tecniche come l’interferometria laser coerente o l’analisi dei dati di telemetria nei ricevitori coerenti che possono essere maggiormente integrabili con una rete dati.
Come funziona l’interferometria laser coerente?
Si utilizza un interrogatore laser che immette un segnale laser all’interno di un canale “alieno” in una normale rete dati. Questo segnale percorre il link fino al termine e viene reindirizzato indietro sulla fibra di ricezione. Nel caso ci sia una deformazione della fibra, la fase accumulata dal segnale ottico nel suo percorso varia e tale variazione si può rilevare per via interferometrica.
Questa tecnica è stata dimostrata da INRIM insieme all’istituto metrologico inglese (National Physical Laboratory, NPL) e all’Università di Malta: abbiamo osservato che ha una buona sensibilità e riesce a rilevare anche terremoti di media e piccola intensità. Di recente la tecnica è stata applicata a una fibra posata nell’Oceano Atlantico: ciò ci dice molto sulle potenzialità di questa tecnica, che permette di raggiungere zone del globo al momento non coperte da alcun tipo di sensori. Uno dei punti critici di questa tecnica è la capacità di localizzare il sisma, con un’approssimazione che varia dalle decine al centinaio di chilometri. Le attività di ricerca stanno appunto lavorando per migliorare questo aspetto. Tuttavia, l’informazione ottenibile dalla fibra è preziosa già con la risoluzione attuale, in quanto compensa una mancanza totale di dati da alcune aree del mondo.
Le potenzialità però non si fermano qui: se integrata sulle reti terrestri, il sensing in fibra può rappresentare un utile complemento per raggiungere le zone meno coperte dai sensori tradizionali. Per esplorare questo scenario, INRIM ha avviato una collaborazione con INGV e OpenFiber che ha portato ad allestire un osservatorio sismico su una tratta in fibra ottica in Centro Italia tra Ascoli e Teramo. Abbiamo installato il nostro interrogatore laser in uno dei nodi della rete e l’abbiamo immesso in un link di circa 30 km. Dal punto di vista scientifico abbiamo raccolto un catalogo ricco e diversificato di eventi sismici, tra cui diversi terremoti molto deboli nel raggio di una decina di km dalla fibra.
Ma non rileviamo solo terremoti. Osserviamo ad esempio forti variazioni tra il giorno e la notte a seconda dei livelli del traffico e possiamo riconoscere chiaramente il passaggio dei veicoli sui ponti. Le possibili applicazioni sono davvero tante!
Quanto è integrabile questa tecnica in una rete dati?
L’interferometria laser coerente coesiste con reti DWDM anche amplificate e riesce a coprire migliaia di chilometri. Stiamo al momento lavorando alla riduzione di peso, volume e consumo dell’interrogatore e ci aspettiamo che entro qualche anno le tecnologie di integrazione laser rendano disponibili laser miniaturizzati che possano essere installati davvero ovunque.
Esiste un modo per fare sensing senza apparati esterni?
C’è un modo per sfruttare i dispositivi fotonici già presenti sulle reti dati, senza dover ricorrere a interrogatori laser esterni. Nelle comunicazioni coerenti ci sono molte informazioni che vengono istantaneamente prodotte sullo stato della fibra (come la polarizzazione, la fase o la dispersione) e solitamente solo una parte viene sfruttata per abilitare la comunicazione. È però possibile elaborare questi dati per estrarre informazioni utili dal punto di vista ambientale. Questa tecnica ha i vantaggi dell’interferometria laser coerente, anche se forse un po’ meno sensibile, ma richiede la collaborazione dei vendor per “aprire” i transceiver; inoltre, produce una mole di dati enorme e si sta lavorando anche per ridurre lo sforzo computazionale. C’è molto lavoro su queste tecnologie e l’integrazione laser andrà a vantaggio anche di queste.
In conclusione, qual è la tecnica migliore?
Non esiste una tecnica di sensing migliore delle altre, sono tutte complementari (valutando i diversi livelli di sensibilità e integrabilità). Molto dipende dal tipo dall’infrastruttura che si ha a disposizione e dal tipo di analisi che occorre fare. Il sensing in fibra non è chiaramente un’alternativa quanto un complemento ai sensori tradizionali, qualcosa che può essere integrato a reti esistenti e che aumenta la capacità di poter “sentire” il territorio. In tal senso, può essere utile nei campi più disparati, dalle smart city (gestione della mobilità, monitoraggio delle infrastrutture) allo sviluppo di sistemi di allerta per la protezione civile.
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