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IPv6 nell’INFN
| Francesco Prelz | Osservatorio della rete
A cura di Francesco Prelz, INFN
Non è mai stato il semplice gusto per l’innovazione a guidare il rapporto fra l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) e le tecnologie dell’informazione, piuttosto la fame “fisica” di connettività per la trasmissione e la condivisione dei dati sperimentali.
Così già a inizio 2008, all’indomani dell’attivazione del routing IPv6 da parte del GARR e ben prima che iniziassero ad interessarsene i grandi dell’IT mondiale (le statistiche IPv6 di Google iniziano con il 2009!), l’INFN ha stabilito un piano di indirizzamento per IPv6 e attivato i primi siti, intuendo che la fase di transizione si prefigurava lunghissima.
Nonostante il peso della complessità introdotta nei protocolli nell’ambiziosa (e delusa) speranza di aggiustare in un colpo solo tutte le limitazioni osservate su IPv4, appariva chiaro già da allora che nessun ‘piano B’ poteva fronteggiare l’esaurimento dello spazio di indirizzi IPv4, annunciato infine da RIPE in questi giorni.
In questi undici anni, durante i quali praticamente l’intero spazio web “utile’’ è divenuto accessibile via IPv6, l’obiettivo primario per l’INFN è stato permettere ai lavori di analisi e di simulazione dei vari esperimenti di eseguire con successo anche su nodi con sola connettività IPv6.
Alcuni siti internazionali che collaborano alla produzione hanno infatti già esaurito gli indirizzi IPv4 pubblici per i loro nodi di calcolo. Questo ha comportato la migrazione in dual-stackIPv4+IPv6 di tutte le risorse di storage e in generale dei servizi esposti all’accesso pubblico, e i necessari aggiornamenti del software. Se dal lato della rete IPv6 general purpose mancano all’appello ancora una dozzina di sedi dell’ente, vediamo ormai all’orizzonte l’atteso ritorno alla normalità di gestire un solo stack IP, quando le sole tecniche di transizione necessarie saranno quelle (ad es. DNS64/NAT64) necessarie per accedere ai pochi servizi residui disponibili solo su IPv4.
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