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Ricerca oltre i confini

| Marta Mieli | Ieri, oggi, domani

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Intervista a Federico Ruggieri

È con molta emozione che ci approcciamo a questa intervista. Federico Ruggieri, infatti, è stato direttore del GARR dal 2015 al 2022 ed ha rappresentato per tutto lo staff GARR un importante punto di riferimento per le difficili sfide che anche in quegli anni si è trovato ad affrontare.

La sua passione per la dimensione internazionale ci porta ad indagare sulla sua visione delle reti della ricerca anche oltre i confini nazionali.

Le reti hanno giocato nel tempo un ruolo sempre più importante ed hanno avuto un effetto acceleratore su tutte le attività legate alla ricerca

Come si è evoluto negli anni il ruolo delle reti della ricerca nel contesto internazionale?

La ricerca, dopo la metà del secolo scorso, ha iniziato un percorso di duplice evoluzione: da un lato è emersa la necessità di lavorare in gruppi per potenziare la capacità di raggiungere risultati in tempi più brevi e, dall’altro, ha evidenziato i benefici di collaborare a livello internazionale per poter aggregare non solo le migliori menti, ma anche le risorse economiche necessarie per i grandi progetti di ricerca. Non è dunque strano che la ricerca sia stata precorritrice nell’uso delle reti informatiche a livello internazionale.

Lo scambio di informazioni, prima sotto forma di mail e poi di dati, ha permesso di ridurre al minimo i tempi di interazione fra ricercatori e ha velocizzato la condivisione dei dati al di fuori dei laboratori e delle infrastrutture di ricerca permettendo ad un numero più grande di ricercatori di poter partecipare ai progetti di ricerca.

Le reti hanno giocato nel tempo un ruolo sempre più importante ed hanno avuto un effetto acceleratore su tutte le attività legate alla ricerca, pensiamo ad esempio all’ultima applicazione, in ordine di tempo, di videoconferenza che ha ridotto ulteriormente le necessità di spostamenti per effettuare riunioni e workshop.

Qual è l’importanza di coinvolgere nei progetti internazionali i paesi che sono più indietro dal punto di vista tecnologico?

Un aspetto senz’altro importante nei progetti internazionali è quello di favorire la partecipazione di paesi con debolezze tecnologiche ed infrastrutturali che però possiedono un potenziale umano che può essere valorizzato. La ricerca e le scienze possono e devono favorire lo sviluppo culturale di una società e creare un seme di potenziale innovazione come è stato dimostrato in molte realtà emergenti.

Qual è il valore delle reti della ricerca e della collaborazione scientifica in paesi impegnati in conflitti geopolitici?

La ricerca è un ottimo strumento diplomatico che riesce ad avvicinare popoli che in altri contesti rifiutano qualsiasi collaborazione. Le esperienze storiche dopo la Seconda Guerra Mondiale con il CERN di Ginevra, sono state confermate, in tempi più recenti da quella del sincrotrone SESAME in Giordania, proposta dal fisico Abdus Salam in una visione di “Fisica per la Pace” e approvata dall’UNESCO nel 1999.

SESAME ha fra i suoi membri paesi come Cipro, Egitto, Iran, Israele, Giordania, Pakistan, Palestina e Turchia, che probabilmente non firmerebbero insieme nessun trattato di altra natura. Naturalmente non è facile e sia l’avvio di una tale collaborazione che la costruzione del sincrotrone hanno richiesto diversi anni: l’inaugurazione è arrivata solo nel 2017. Ho visitato SESAME molti anni fa, prima della sua apertura, ed ho potuto toccare con mano l’entusiasmo dei ricercatori e degli ingegneri che partecipavano a questa impresa.

Quali sono i paesi o le aree che hanno avuto un progresso più rapido dal punto di vista delle infrastrutture?

Direi che in questo campo gli Stati Uniti sono stati i precursori con i grandi laboratori che sono seguiti alla Seconda Guerra Mondiale: la ricerca sulla fissione nucleare ha mostrato come la ricerca scientifica potesse produrre risultati sconvolgenti se dotata di finanziamenti adeguati e di gruppi di ricerca ben assortiti e competenti, purché tali risultati venissero usati per il bene dell’umanità.

Il CERN di Ginevra è stata la risposta europea che ha catalizzato gli sforzi di molte nazioni che singolarmente non avrebbero avuto le risorse economiche e umane per realizzare una tale impresa. Per alcuni decenni Europa e Stati Uniti hanno mantenuto una leadership nel campo delle infrastrutture di ricerca e solo negli ultimi 10-15 anni Giappone e Cina hanno iniziato un percorso di affiancamento.

C’è una specificità del modello europeo nella collaborazione internazionale?

Il modello europeo è quello delle collaborazioni e delle infrastrutture aperte quelle, cioè, che danno accesso a ricercatori di altri paesi sulla base di una ricerca senza confini e con il minimo delle restrizioni necessarie.

Federico Ruggieri

Federico Ruggieri durante il suo intervento alla Conferenza GARR “Data Revolution” ospitata a Cagliari nel 2018

Qual è il ruolo dell’Italia a livello internazionale nell’ambito ICT?

L’Italia ha una grande tradizione scientifica e, nel passato, ha avuto anche delle eccellenze in ambito ICT industriale (pensiamo ad esempio alla Olivetti). Oggi il baricentro dell’industria dell’elettronica è spostato ad Oriente mentre in Occidente ci sono soprattutto sviluppo e progettazione. L’Italia potrebbe fare molto di più e di meglio se opportunamente incentivata.

Tra gli incarichi internazionali, sei stato fino a pochissimo tempo fa, anche nel Consiglio direttivo della rete europea GÉANT. Cosa conservi di questa esperienza appena conclusa?

È stato un onore ed un privilegio poter servire nel Board di GÉANT e ricevere la fiducia ed il rispetto dei suoi membri, ovvero le diverse reti nazionali (NREN, National Research & Education Network) che sono parte dell’Associazione GÉANT. Lo spirito di comunità che si respira in questo ambito è quasi unico in Europa e, per molti versi, assimilabile a quello delle collaborazioni scientifiche.

Qual è stato il risultato a cui hai contributo che ti ha dato maggiore soddisfazione?

Sono molte le cose di cui sono soddisfatto ma, in particolare, alla fine del mio mandato come direttore GARR sono riuscito a ottenere la partecipazione a due progetti del PNRR (ICSC e TeRABIT) che permetteranno di ampliare la rete GARR-T su tutto il territorio nazionale.

Poi avrei voluto fare il fisico teorico e il musicista ma non è andata così.

Intorno a tanta tecnologia ci sono anche tante persone che ci lavorano. Hai qualche ricordo in particolare?

Ci sarebbero molti aneddoti e non tutti riferibili. Un’esperienza significativa, però, fu quella con il prof. Antonino Pullia mentre era a Bari per il suo straordinariato come professore. Io ero laureando e rimasi ammirato dalle sue doti umane che confermavano la mia idea ingenua che uno scienziato, avendo un alto quoziente intellettivo, non potesse che essere una brava persona, gentile e tollerante. Naturalmente mi sbagliavo: gli scienziati sono esseri umani come gli altri, ma lui era una delle, fortunatamente tante, eccezioni.

Quale futuro vedi nel contesto delle reti internazionali?

Il futuro è difficile da prevedere e chi lo fa ha un’alta probabilità di errore, tuttavia vorrei un futuro in cui le reti internazionali evolvano sempre più le proprie capacità e servizi per facilitare ancora di più il lavoro dei ricercatori e, soprattutto, quello dei docenti. Una scuola ed una università più connesse potranno aiutare gli studenti di domani a vivere in maniera più cosciente ed efficace la tecnologia ed i risultati della ricerca. Auspico, dunque, non la scomparsa dell’ignoranza ma quella dell’impreparazione e della faciloneria.

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