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Internet è di Tutti

| Giuseppe Attardi | ieri, oggi, domani
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Oggi gli utenti di Internet superano i due miliardi e la sua diffusione continua. Quindi gli ostacoli che Vint Cerf segnalava quando cominciò a propugnare “Internet è per tutti” sembrerebbero superati.

Giuseppe Attardi è professore di Informatica presso l’Università degli Studi di Pisa.
Laureato in Scienze dell’Informazione, partecipò allo sviluppo del primo sistema grafico a finestre del MIT. Ha contribuito alla realizzazione di Arianna, il primo motore di ricerca italiano e ha sviluppato tecniche di analisi linguistica di testi per la ricerca semantica e per la traduzione automatica.

Il concetto di un’unica infrastruttura di comunicazione digitale basata su IP che trasporta ogni tipo di traffico si è finalmente imposto, ma per arrivare a questo c’è voluto l’impegno di milioni di persone e vincere lo scontro tra due visioni contrapposte: da una parte una rete centralizzata, con totale controllo del traffico e dei servizi e dall’altra una rete decentralizzata in cui l’intelligenza e i servizi sono alla periferia; da una parte pochi fornitori di contenuti a pagamento, dall’altra tantissimi sviluppatori di materiale da condividere.

Ma la tentazione del “controllo della rete” non è venuta meno: ancora oggi assistiamo a tentativi di regolare o restringere il traffico sulla rete, anche attraverso dei modelli di business, che impongono l’uso di dispositivi basati su soluzioni proprietarie in grado di operare soltanto con software proprietario e comunicare solo con dispositivi analoghi. Sia ISOC che Tim Berners- Lee hanno criticato vivacemente questa tendenza, osservando che ciò porterebbe il web a frammentarsi in tante isole scollegate, limitando la libertà degli utenti di passare da un’isola all’altra.
Nella stessa logica rientrano anche gli attacchi alla Net Neutrality, il principio secondo cui gli Internet Service Providers non possono discriminare tra diversi tipi di contenuti, dispositivi o applicazioni usate sulla rete. Se autorizzate ad aggirare la Net Neutrality, le aziende potrebbero discriminare tra servizi, legandoli all’uso di determinati dispositivi e software e differenziando le tariffe. Si tratta di attacchi fatti in nome della Qualità di Servizio, eppure ogni rete fissa decente è ormai veloce abbastanza da gestire qualunque servizio e, in ogni caso, se la banda non bastasse, la QoS non servirebbe a risolvere i problemi di congestione, ma solo a penalizzare qualcuno. Anche molti governi - e non solo quelli autoritari - hanno cercato di imporre restrizioni sull’uso di Internet, proponendo norme di dubbia applicabilità ma di sicuro pregiudizio alla libertà di espressione, scatenando le vive proteste degli utenti della rete. Bisogna contrastare questi attacchi alla rete aperta, senza confini e discriminazioni, e per farlo bisogna che gli utenti della rete prendano coscienza che Internet è di tutti, non di quei pochi che pretendono di controllarla e di dettar legge, siano essi aziende, operatori telefonici, Internet Provider, governi o emanazioni di associazioni governative come l’Internet Governance Forum. La rete infatti è costituita da milioni di reti che ciascuno ha costruito o in casa propria o nell’ambito di organizzazioni pubbliche e private.

La vera ricchezza della rete è costituita dai contenuti e servizi realizzati dagli stessi utenti. Gli utenti Internet si scambiano 100 trilioni di mail l’anno, 30 miliardi di note su Facebook ogni mese e hanno creato 80 miliardi di pagine web, 150 milioni di blog, 9 milioni di articoli su Wikipedia. Un successo planetario cui hanno contribuito i milioni di servizi che sono stati sviluppati per Internet, che sono un tributo alla fantasia e all’ingegnosità degli utilizzatori stessi della rete e che nessuno avrebbe lontanamente potuto immaginare se Internet fosse stata una rete chiusa e controllata dagli operatori. Ciò che attribuisce valore ad Internet è la condivisione: una rete a cui non si connette nessuno non ha alcun valore, ed il valore cresce in base all’interconnessione (o, più precisamente, al quadrato del numero di nodi connessi, come recita la legge di Metcalfe). Pertanto è nell’interesse di ciascuno, che coincide con l’interesse di tutti, di massimizzare l’interconnettività della propria rete. Ma se nessuno controlla la rete, ci si può chiedere di chi sia la rete o chi abbia autorità su di essa. Si va diffondendo il punto di vista che la rete sia un Commons, ossia un Bene Comune, che appartiene alla comunità che la gestisce nell’interesse collettivo e non nell’interesse di qualcuno. Il premio Nobel per l’Economia Elinor Ostrom ha dimostrato che il modello del Commons è più adatto a gestire situazioni complesse come Internet rispetto ai modelli classici di stato o di mercato, che sono soggetti o a lentezze e errori di decisione o a inefficienze dovute a frammentazione e al formarsi di oligopoli. Anziché gestire la scarsità, un Commons tende a produrre abbondanza e sfrutta il meccanismo dell’autoregolamentazione, che funziona proprio perché ciascuno contribuisce qualcosa nell’interesse di tutti.

L’approccio dei Commons può essere utilizzato anche per risolvere in modo vantaggioso per tutti l’annoso problema dello sviluppo futuro della rete e della diffusione capillare di fibra e tecnologie ottiche fino all’utente finale. È il caso della proposta di AssoProvider di affidare la realizzazione del local loop ai gestori delle unità immobiliari, ossia ai condomini, anziché cederli agli operatori. I vantaggi sarebbero molteplici: un rapido ritorno dell’investimento, la detraibilità dalle tasse, la riqualificazione dell’immobile, un finanziamento da parte dell’utente piuttosto che dalle tasche esauste della fiscalità generalista o da quelle di privati che spesso non dispongono dei capitali e soprattutto di sufficienti garanzie di ritorno dell’investimento e, ultimo ma non ultimo, una infrastruttura controllata da chi la usa. Ai cablaggi potrebbero partecipare altri enti, quali comuni, università o aziende private, che contribuirebbero ciascuno alla costruzione di un’infrastruttura comune, trasformando la costruzione e gestione del local loop in attività partecipativa. Anche l’infrastruttura di accesso WiFi ne potrebbe beneficiare ampliandone enormemente la copertura. Nella rete fissa il vero collo di bottiglia risiede nel “secondo miglio”, il segmento che collega le centrali alle dorsali che richiede investimenti ingenti e generalmente non remunerativi per il passaggio alla fibra ottica: è qui che se il privato non investe, deve intervenire il pubblico, o obbligando i privati in virtù del principio di servizio universale o impegnandosi direttamente, ancora una volta con la modalità del Commons, ossia affidando alla collettività la gestione dell’infrastruttura comune. Questo sarebbe il miglior modo per affermare concretamente che Internet e l’accesso alla rete è un diritto dei cittadini. Oltre alla questione dell’infrastruttura, segnalo due questioni che riguardano i contenuti: la proprietà dei dati e il diritto d’autore. Ormai un’altissima percentuale del materiale che interessa gli utenti in rete è prodotto dagli stessi utenti. Flickr, YouTube, iTunes, Blogs, Google Maps, Facebook, Twitter non sono che contenitori per tali materiali, che alcune grandi aziende si incaricano di gestire e rendere accessibili ad altri.

Le condizioni di uso di questi servizi pretendono che il materiale diventi di proprietà del gestore del servizio, o comunque che il gestore del servizio si riservi di trattenere una percentuale sulla vendita di materiale (Wikipedia è una rara eccezione in questo senso). Ma la cosa che disturba di più è che le aziende raccoglitrici, non soltanto si appropriano dei materiali, ma anche si arrogano il diritto di essere gli unici a poterne fare analisi ed elaborazioni, che spesso rivestono interesse scientifico. Alla distribuzione di contenuti su Internet si tendono ad applicare le norme del copyright (che in italiano viene malamente identificato col diritto d’autore, che non si viola facendo copie di un’opera, ma attribuendosene la paternità), che però sono obsolete, ritagliate sugli interessi degli editori più che degli autori. Il lavoro intellettuale di questi ultimi deve poter essere remunerato, adottando meccanismi più moderni per i pagamenti. Occorre un bilanciamento equo tra ciò che alcuni servizi offrono e ciò che prendono dagli utenti, occorre evitare che chi raccoglie dati forniti dagli utenti si trovi in situazione di monopolio rispetto al trattamento o all’analisi, anche scientifica, di tali dati, ed occorrono infine soluzioni che assicurino a tutti di poter beneficiare, anche in termini economici, delle proprie produzioni diffuse attraverso la rete, senza che regole obsolete intralcino l’evoluzione di nuove modalità di distribuzione.

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