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Data centre d’eccezione
| Federica Tanlongo | La nuvola della ricerca e istruzione
Parliamo del programma AgID di riorganizzazione dei data centre delle PA, tra legittime preoccupazioni e opportunità di crescita per università e ricerca
Il piano triennale per l’Informatica nella pubblica Amministrazione 2017-2019, AgID, di concerto con il Team Digitale, ha introdotto il Cloud Enablement Program (CEP), un ambizioso e quantomai necessario programma di riorganizzazione dei processi IT della pubblica amministrazione che mira a consolidare le infrastrutture digitali delle PA rendendole più affidabili, sicure ed economiche.
I criteri chiave individuati per questo consolidamento sono il concetto di Cloud first (e in particolare SaaS first) e il rafforzamento delle competenze. L’obiettivo di medio-lungo periodo è quello di dismettere le infrastrutture e i servizi ICT non in grado di garantire livelli di sicurezza e affidabilità adeguati, diminuendo la frammentazione e andando verso un modello con pochi centri di competenza di grandi dimensioni ed alta qualità (i PSN-Poli Strategici Nazionali) in grado di offrire soluzioni SaaS qualificate.
Il processo ha preso le mosse dal censimento dei data centre delle PA (circolare AgID n°5 del 30 novembre 2017) che ha riguardato poco meno di un migliaio di data centre di ogni dimensione e utilizzo e ha poi provveduto a classificarli in PSN e data centre di classe A e B. Mentre per le infrastrutture di classe A è prevista la prosecuzione del finanziamento e la migrazione su PSN è un’eventualità all’orizzonte (comunque da concordare) per quelle in classe B c’è la concreta prospettiva di una dismissione.
Date queste premesse non è difficile capire perché l’iniziativa, che come cittadini ci rassicura sul fatto che finalmente qualcuno si curi di non disperdere le nostre sudate tasse in mille rivoli di dubbia efficacia e di proteggere al meglio i nostri dati, abbia scatenato un certo livello di preoccupazione, quando non di panico, nel mondo dell’università e della ricerca, composto per la stragrande maggioranza da enti pubblici, seppure un po’ speciali. Se n’è parlato a un tavolo congiunto in occasione dell’ultimo Workshop GARR, tenutosi a Roma in ottobre. I rappresentanti delle università e degli enti di ricerca hanno affrontato in particolare il tema dell’impatto di questa riorganizzazione sul comparto e quello delle azioni da mettere in campo per non essere trascinati nel cambiamento ma piuttosto contribuire a guidarlo, grazie alle competenze uniche che la comunità della ricerca può mettere a disposizione del paese.
Ma andiamo con ordine. Abbiamo detto che il processo di riorganizzazione è in atto, e il comparto università e ricerca ne è coinvolto. E in effetti, a decorrere dal 1 aprile 2019, le PA possono acquisire esclusivamente servizi IaaS, PaaS e SaaS qualificati da AgID e pubblicati nel Catalogo dei servizi Cloud per la PA qualificati. Questa regola ha però delle deroghe (Circolare n.1 14/06/2019) che permettono di continuare a investire nei data centre per interventi transitori, per garantire la sicurezza dei dati, ma soprattutto, nel caso di Università, Enti di Ricerca ed Enti del SSN, per le attività di ricerca, sviluppo e trasferimento tecnologico e supporto alla diagnostica clinica.
Malgrado queste importanti deroghe, però, secondo tutti gli speaker è un dato di fatto che l’ecosistema università e ricerca sia solo in parte rappresentato nell’impianto del piano AgID, probabilmente perché i primi destinatari dell’intervento di razionalizzazione sono altri tipi di PA. Se riconoscere una specificità alle attività di ricerca è quindi un modo per tutelarne l’indipendenza e garantire una misura in più di flessibilità, fondamentale nella gestione del calcolo scientifico, questo non risolve tutti i problemi, come è stato sottolineato da più parti nel corso della tavola rotonda. Ad esempio, la didattica, centrale a tanti servizi delle università, attualmente non figura tra queste eccezioni, anche se ai referenti del gruppo di lavoro CRUI è stato assicurato che anch’essa verrà presa in considerazione.
È proprio la CRUI, insieme al CODAU, ad essersi mossa per prima su questo tema, redigendo un documento in cui si raccolgono tutte le perplessità del mondo accademico sulla messa in pratica della razionalizzazione in questo settore. Questo lavoro fa parte di una collaborazione più ampia, inquadrata nel protocollo di intesa siglato da CRUI e AgID il 26 luglio scorso e volto a promuovere la trasformazione digitale. Per quanto riguarda in particolare la questione dei data centre, è stato concordato che sarà il comparto stesso, di concerto con AgID, a proporre il piano di migrazione, anche tenuto conto delle criticità e delle particolarità emerse. L’idea di una collaborazione proattiva con AgID è stata raccolta con entusiasmo anche dagli enti di ricerca, che sono stati coinvolti nel censimento solo in un secondo momento.
Le conclusioni dalla tavola rotonda si possono riassumere in tre punti. Primo: c’è bisogno di alzare gli standard di sicurezza, affidabilità ed efficienza nelle PA e - perché no - anche in quelle speciali. In questo senso la strategia di AgID, se messa in pratica senza eccessive rigidità, può portare benefici a tutti. Secondo: è giusto ribadire le specificità del sistema università e ricerca, ma non c’è motivo di tirarsi indietro dall’adottare delle buone pratiche che possano migliorare i nostri data centre. Terzo e più importante, il comparto dell’università e della ricerca è coeso e vanta al suo interno competenze eccellenti, due cose niente affatto scontate per la PA in generale. Su questa eccellenza e su questa capacità di fare sistema si può costruire in modo da non limitarsi ad assecondare il cambiamento, ma farsene motore e guida, creando valore non solo per università e ricerca ma per tutto il sistema paese.
In breve
F. Pedranzini, CODAU
C. Grandi, INFN
J. Ambrosi, CRUI
A. Cisternino, Università di Pisa
M. Nanni, INAF
G. Polenta, ASI
G. Ponti, ENEA
L. Nannipieri, INGV
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