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Accesso aperto per far crescere la ricerca sanitaria

Accesso aperto per far crescere la ricerca sanitaria

| Carlo Volpe | Caffè scientifico

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Un punto unico di accesso ad oltre 40 mila prodotti della ricerca.

foto di Paola De Castro
foto di Luisa Minghetti

Paola De Castro (sopra) e Luisa Minghetti stanno dando un contributo importante al processo di trasformazione verso il modello di scienza aperta all’interno dell’Istituto Superiore di Sanità

È questo il risultato dello sforzo dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) che con PublISS mette a disposizione di tutti i ricercatori uno strumento formidabile per migliorare la circolazione dell’informazione scientifica e favorire il progresso della ricerca biomedica. La visione che ha guidato la realizzazione del nuovo archivio digitale è quella dell’open access, da sempre punto di riferimento per l’ISS.

Condividere i dati clinici è un’operazione complessa e serve un coinvolgimento di varie figure per valutare i diversi livelli: tecnico, scientifico, etico, privacy, proprietà intellettuale

L’archivio è stato fortemente voluto dal Servizio di Comunicazione Scientifica e dal Servizio Conoscenza ISS ma ha assunto un valore trasversale all’interno dell’organizzazione e in particolare è diventato fondamentale per favorire le attività di coordinamento della ricerca. Per saperne di più, abbiamo intervistato Paola De Castro e Luisa Minghetti, rispettivamente responsabili del Servizio Comunicazione Scientifica e del Servizio tecnico-scientifico per il Coordinamento e Supporto alla Ricerca dell’ISS. Due persone che stanno dando un contributo importante al processo di trasformazione verso il modello di scienza aperta.

Dott.ssa De Castro, questo nuovo repository per i dati della ricerca ha una storia che parte da lontano. Ci può spiegare quale percorso avete seguito?

Il nostro Istituto ha coltivato storicamente una missione di apripista in adesione ai principi dell’open access. Abbiamo abbracciato il movimento da quando è nato, nel 2000. E proprio in quegli anni siamo passati dalla produzione cartacea a quella digitale pubblicata online.

Nel tempo, abbiamo lavorato molto per accrescere la consapevolezza e la sensibilità sul tema. Da una parte firmando le varie dichiarazioni e petizioni internazionali, dall’altra iniziando a costruire l’infrastruttura in grado di rendere operativo l’accesso aperto e così dal 2006 abbiamo istituito un archivio digitale in rete: DSpace ISS, basato appunto su uno dei software open source più diffusi per la catalogazione e la fruizione delle pubblicazioni scientifiche.

Qual è la principale novità introdotta da PublISS?

PublISS è una piattaforma tecnologicamente moderna. Per la prima volta vengono sfruttate ed espanse le potenzialità di DSpace, consentendo ricerche molto granulari e rappresentazioni grafiche dell’intera produzione scientifica dell’ISS. Grazie alla sua architettura orientata ai servizi, PublISS è una piattaforma molto flessibile e facilmente adattabile alle esigenze scientifiche istituzionali.

In particolare, PublISS consente di gestire repository multi-istituzione e multi-collezione: questa prerogativa, di importanza primaria già in fase progettuale, potrebbe essere pienamente sfruttata in futuro, attraverso l’accesso federato IDEM, il servizio GARR per la gestione delle identità digitali per la comunità dell’istruzione e della ricerca, al quale l’ISS ha aderito, rendendo così PublISS un aggregatore di prodotti della ricerca senza precedenti.

La sfida non è solo tecnologica ma anche culturale...

Attuare l’open access o l’open science, che ora ne ha assorbito i valori ampliandone la portata, non è semplice per vari motivi. All’inizio dal punto di vista informatico, c’è stato un grande lavoro per la standardizzazione dei dati, facilitato solo in parte dal fatto che per le finalità di rendicontazione, nell’Istituto, avevamo già un ampio bacino di metadati per le attività di ricerca. Spesso, anche oggi, però la resistenza maggiore è da parte del ricercatore che incarna in qualche modo la figura del Dottor Jekyll e Mr Hyde: da una parte vorrebbe accedere ai dati della ricerca ma poi non è così disponibile a “liberare” quelli che produce egli stesso.

Come si supera questa resistenza?

Noi facciamo molta attività di formazione, partecipiamo e animiamo gruppi di discussione e di lavoro. Probabilmente però, ciò che è più efficace è il confronto continuo con i ricercatori. A volte ci chiedono consigli o ci pongono quesiti, ad esempio per le questioni riguardanti il copyright, e in queste occasioni riusciamo a dare indicazioni utili perché c’è un maggiore coinvolgimento diretto.

Abbiamo anche partecipato a gruppi di supporto all’accesso aperto in comunità come Bibliosan, ad esempio, che ha un ruolo molto importante perché riunisce circa 70 biblioteche di IRCCS e IZS e coinvolge anche INAIL, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (AGENAS) e l’Agenzia italiana del farmaco (AIFA). In questo contesto, siamo impegnati nel Gruppo di lavoro Bibliosan per la Scienza Aperta (BISA) che testimonia la vitalità di tanti colleghi che nei vari enti di ricerca si adoperano per attuare concretamente l’accesso aperto e la condivisione ai dati della ricerca.

Nell’ambito di BISA, qualche anno fa, è stata condotta un’indagine per comprendere l’atteggiamento dei ricercatori nei confronti della gestione dei dati della ricerca. I risultati hanno dimostrato come nel 75% dei casi l’accesso ai dati era molto ristretto (solo all’interno della propria organizzazione o su esplicita richiesta). È stato utile anche scoprire quali fossero le principali necessità espresse dai ricercatori che complessivamente per il 50% chiedevano infrastrutture tecniche e formazione. Molto sentita anche l’esigenza di dotarsi di documenti di indirizzo, a livello istituzionale, per orientare le pratiche comuni di raccolta, conservazione e condivisione dei dati.

Il lavoro di sensibilizzazione sembra dunque fondamentale. Che peso attribuirebbe a questo fattore rispetto agli obblighi normativi che vengono dall’alto?

Sono due percorsi che devono andare in parallelo. Non basta una norma. Questa è importante per avviare il processo: una raccomandazione infatti è condizione necessaria ma non sufficiente. Se non c’è la convinzione da parte delle persone non si va avanti. D’altra parte, nel 2008 siamo stati il primo ente in Italia nell’ambito della ricerca biomedica a dotarsi di una policy istituzionale per il libero accesso alle pubblicazioni scientifiche e ciò nonostante continuiamo con il nostro lavoro di formazione sul tema, secondo un approccio condiviso: top down e bottom up.

Oggi state elaborando una nuova policy. Cos’è cambiato rispetto a oltre 10 anni fa?

L’accento oggi è sui dati e sulla responsabilità del ricercatore. Erano già presenti in embrione, ma ora sono definiti anche da normative che supportano i principi generali. Ad esempio, l’obbligo di avere un Data Management Plan nei progetti di ricerca e di pubblicare in accesso aperto per i progetti finanziati dalla Commissione europea o altri grandi finanziatori. Il contesto è completamente cambiato e le norme ci danno un supporto importante. Inoltre è stato importante avere un confronto continuo con gli standard e le policy internazionali su questioni come l’etica della ricerca, le norme editoriali e la responsabilità dei ricercatori.

Il portale PublISS

La complessità di un progetto a lungo termine come PublISS ha necessariamente coinvolto figure professionali eterogenee e complementari, catalizzando la formazione di un team multidisciplinare costituito in primis da Filippo Santoro e Corrado Di Benedetto (rispettivamente per il progetto/sviluppo software e per l’infrastruttura IT) e Elisabetta Poltronieri, coordinatrice di un Gruppo di lavoro per la gestione dei contenuti tecnico-scientifici.

Dott.ssa Minghetti, l’accesso ad un ampio patrimonio di pubblicazioni è importante per migliorare il lavoro multidisciplinare soprattutto nella vostra organizzazione che ha molti filoni di ricerca.

Avere accesso a tutta la produzione scientifica è fondamentale per crescere ed innovare. È per questo che, occupandomi di coordinamento della ricerca, sono stata coinvolta nel processo. All’interno di PublISS ci sono dati preziosi che non si ritrovano altrove. Mi riferisco a tutta la letteratura grigia (rapporti tecnici, ricerca legata alle attività istituzionali) che non è presente in altri repository perché non è pubblicata da case editrici e che rappresentano una componente importante e unica delle attività dell’ISS.

Credo che questa piattaforma dia un contributo importante anche in termini di integrità della ricerca e di responsabilità dei ricercatori, a partire dall’impegno dell’ente a fornire degli strumenti istituzionali e sicuri per una corretta gestione dei risultati della ricerca.

Quali dati si possono trovare all’interno di PublISS?

L’archivio digitale contiene le varie tipologie di pubblicazioni a cui abbiamo già accennato e, su richiesta degli autori, potranno essere disponibili anche i dati associati alle pubblicazioni, in vari formati. Non si tratta quindi, al momento, di dati accessibili e interrogabili, ma la nostra ambizione è di seguire questa direzione. Bisogna, inoltre, ricordare che ci stiamo riferendo ai dati della ricerca, ma che esiste un’altra categoria di dati raccolti attraverso attività istituzionali. Questi sono di sicuro interesse per la comunità scientifica, ma spesso ricadono nell’ambito dei dati sanitari e, come tali, l’accesso è regolato da norme specifiche. È necessaria quindi una grande cautela nella loro pubblicazione in formato aperto.

Cos’è avvenuto per i dati relativi alla pandemia?

Questo è l’esempio più calzante a quanto appena detto. L’emergenza COVID ha reso più stringente la necessità di condivisione e di apertura ai dati. Oltre a pubblicare i dati disponibili nel proprio sito, l’ISS si è organizzato, seguendo le indicazioni dell’ordinanza del Capo del Dipartimento della Protezione Civile (n. 691 del 4 agosto 2020) per garantire dati aperti alle istituzioni che ne facciano domanda motivata ed ha organizzato una nuova sezione del sito ISS per COVID nel quale è indicato il percorso per avere accesso ai dati.

Quali sviluppi futuri prevedete?

Il lavoro effettuato sull’archivio digitale potrebbe essere di interesse collettivo per la comunità della ricerca biomedica italiana. La piattaforma potrebbe essere aperta ad altri enti a partire dal contesto Bibliosan, e diventare un servizio importante, anche nell’ottica di rete che sta molto a cuore al Ministero della Salute.

Per attuare l’open science è necessario un approccio condiviso e integrato: norme e consapevolezza, formazione e infrastrutture tecnologiche

Un altro aspetto sul quale vorremmo concentrare il nostro impegno è la possibilità di fornire ai ricercatori un “luogo sicuro” dove depositare i propri dati, anche prima di pubblicarli, senza affidarsi alle case editrici commerciali, oppure a piattaforme di cui non si conosce bene la policy di gestione. In questo progetto, la nostra collaborazione con GARR rappresenta un valore aggiunto.

Parliamo spesso di dati ma non c’è ancora la necessaria consapevolezza. Basti pensare che nell’indagine citata prima, svolta all’interno del Gruppo di lavoro BISA, dal punto di vista della conservazione dei dati emergeva un dato preoccupante: il 33% degli intervistati era abituato a salvare i dati solo localmente sul proprio computer e gli archivi istituzionali erano usati solo nel 3% dei casi.

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