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Colibrì spicca il volo. Una sfida comune contro le malattie rare dei più piccoli
| Elis Bertazzon, Federica Tanlongo | Caffè scientifico
Colloquio con Fabio Triulzi
Il progetto Colibrì è partito nel 2013 coinvolgendo 19 centri di eccellenza in tutta Italia.
Ne parliamo con il Prof. Fabio Triulzi, Direttore della Unità di Neuroradiologia della Fondazione IRCCS Cà Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano e coordinatore del progetto.
Università degli Studi di Milano
Fondazione IRCCS Cà Granda
Ospedale Maggiore Policlinico
Professore di Neuroradiologia
Quali sono gli obiettivi di Colibrì?
Colibrì si rivolge a centri di neuroimaging o neuroradiologici con l’obiettivo di raccogliere e mettere in comune dati di imaging che riguardano malattie rare in età pediatrica, creando una rete nazionale di centri di riferimento. Fare rete è fondamentale soprattutto nel caso di patologie come queste, per le quali, proprio a causa della loro rarità, è impossibile fare una raccolta dati significativa a livello del singolo centro, per quanto specializzato. Oggi nel campo delle malattie rare esistono reti di questo tipo per aspetti come la genetica o la clinica, ma non esisteva ancora nulla di organizzato per quanto riguarda l’imaging, quindi abbiamo pensato di colmare questo vuoto, andando ad affiancare queste realtà.
Esistono alcune migliaia di malattie rare censite, ma al momento noi siamo focalizzati su quelle che colpiscono pazienti pediatrici e interessano il sistema nervoso centrale. Anche così, si tratta di un programma “enciclopedico” e di conseguenza non si può pensare di collezionare da subito esempi di ognuna. Sarebbe già un ottimo risultato avere, nel giro di cinque anni, 200 malattie per le quali sono stati raccolti più casi, con la possibilità di inquadrare in modo più completo la malattia.
Che tipo di dati raccogliete e come avviene l’arruolamento di nuovi casi?
Il database di Colibrì è costituito da immagini diagnostiche del sistema nervoso centrale
Il database di Colibrì è incentrato su immagini diagnostiche relative al sistema nervoso centrale, prevalentemente risonanze magnetiche ad alta risoluzione (3 Tesla). I centri inseriscono i nuovi casi, già anonimizzati, attraverso un’interfaccia web. Un gruppo di tre revisori li valuta per capire se hanno le caratteristiche per essere arruolati, in particolare in termini di qualità delle immagini. Accettiamo sia i casi con diagnosi di malattia rara che quelli in cui tale diagnosi è fortemente suggerita da immagini e storia clinica, ma non ancora certa. Per questi ultimi abbiamo costruito un sistema aperto, in cui più centri possono contribuire a definire una diagnosi dubbia o confrontarsi e discutere su un caso difficile.
Oltre alle immagini, per ogni caso si collezionano informazioni genetiche e cliniche e, nel caso si abbia la possibilità di seguire un paziente nel tempo, le nuove informazioni che possono essere aggiunte, quindi il database si può arricchire non solo a livello del numero dei casi, ma della profondità dell’informazione su ciascuno di essi
All’interno dell’infrastruttura è stato previsto un database con immagini di soggetti pediatrici sani. A cosa serve?
Il sistema è aperto e più centri possono definire una diagnosi dubbia o confrontarsi su un caso difficile
Il database dei soggetti sani, che oggi ne comprende circa un centinaio appartenenti a diverse fasce d’età, specialmente molto giovani, rappresenta una parte accessoria rispetto a quello dei casi clinici, ma è molto importante per avere dati di confronto. Costruire un modello normativo del sistema nervoso centrale dei bambini è complesso per due ordini di motivi: in primo luogo, il sistema nervoso evolve molto velocemente, soprattutto nei primi anni di vita e quindi c’è una certa variabilità anche nell’ambito dei soggetti “normali”. In secondo luogo, evidentemente non si può contare su volontari sani per ottenere immagini di controllo, quindi si ricorre all’arruolamento di soggetti sottoposti ad esami per altri motivi (ad esempio un mal di testa ricorrente) che poi risultano assolutamente negativi. Si tratta di dati molto rari soprattutto per la risonanza a 3 Tesla per i quali nel nostro Paese non esistono dati di controllo sufficientemente robusti.
A che punto è lo sviluppo di Colibrì?
Avremo presto già 1000 casi nel database. Al di fuori di Colibrì, i singoli centri vedrebbero solo 50 casi l'anno
I primi 2 anni di progetto sono stati interamente dedicati a realizzare il database distribuito, il sistema di gestione e l’interfaccia per il popolamento e la consultazione dei dati. Oggi abbiamo iniziato il popolamento dell’infrastruttura con i primi 500 casi. Ne avremo almeno il doppio per febbraio del prossimo anno, quando terminerà il finanziamento. 1.000 è già un numero non trascurabile, se pensiamo che un singolo centro può vedere in un anno da una decina a non più di 40-50 casi, ma ancora modesto per la nostra ambizione di avere un impatto reale su questo settore di ricerca. L’obiettivo, che pensiamo di poter realizzare nel giro di 2-3 anni, è crescere per arrivare alle migliaia di casi: a regime, anche senza nuovi partner, i 19 centri coinvolti potranno infatti inserire un totale circa 500-1000 casi all’anno. C’è inoltre la volontà di estendere la nostra rete coinvolgendo altre realtà italiane, anche perché alcune regioni, come ad esempio Friuli Venezia Giulia e Piemonte, non sono ancora coperte pur vantando centri d’eccellenza in campo pediatrico. Evidentemente a ogni estensione aumenterà la rapidità con cui saremo in grado di popolare il nostro database.
Quali sono state le maggiori difficoltà incontrate nello sviluppo del progetto?
Oggi i problemi non sono quasi mai a livello tecnologico, basti pensare alle quantità di dati che scambiamo ogni giorno e che fino a pochi anni fa sarebbero state impensabili, e Colibrì non fa eccezione a questo discorso. I maggiori problemi riscontrati sono legati alla necessità di far uscire dati sensibili da luoghi che devono (e sono davvero) “blindati”, non tanto in termini di sicurezza e privacy, quanto a livello burocratico: è stato infatti necessario mettere d’accordo i comitati etici di 19 centri e trovare soluzioni che permettessero legalmente di utilizzare dati pregressi per fini di ricerca che non sono determinati a priori, ma piuttosto ex post.
Quindi nel futuro di Colibrì c’è un progetto europeo?
Visto che il finanziamento ministeriale terminerà a febbraio 2017 e che, per il breve periodo, l’infrastruttura non sarà ancora autosostenibile, ci stiamo muovendo su più fronti, tra cui quello europeo, per mantenere l’operatività e garantirne la crescita sia a livello di dati che di funzionalità, ad esempio la possibilità di utilizzare algoritmi di elaborazione automatica dei dati per creare ulteriore conoscenza. A livello internazionale, abbiamo già contatti con centri in diversi paesi, tra cui Germania, Paesi Baltici e Israele.
Quali saranno i prossimi passi?
È stato proprio l'incontro con GARR a farci pensare che Colibrì si potesse realizzare
Per il futuro di Colibrì sarà decisivo riuscire ad assicurarsi una fonte di finanziamento almeno per i prossimi 2 o 3 anni, così da poter far fare all’infrastruttura quel salto di qualità che permetta di proporla come un servizio a pagamento, o i cui costi vengano ripartiti tra gli stakeholder. Si tratterà non solo di aumentare i dati disponibili, ma anche di allargare la base di utenti. I nostri costi, essenzialmente legati all’operatività dell’infrastruttura, non sono particolarmente elevati – parliamo di meno di 100mila euro annui – e per coprirli stiamo sia cercando bandi nazionali ed europei a cui applicare, sia guardando ad altre modalità di finanziamento, dal coinvolgimento del Ministero a metodi alternativi come il crowdfunding.
Sono 19 gli istituti convolti nel progetto. La lista completa è disponibile su: www.colibrinet.it/ en/project/partners
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