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FP7-Italia
| Diassina di Maggio | Internazionale
Luci e ombre della partecipazione italiana al settimo programma quadro. Ma anche alcuni punti saldi da cui ripartire in vista di Horizon 2020
Secondo l’ultimo rapporto del sistema di monitoraggio di FP7, che copre il periodo 2007-2011, durante i primi 5 anni del programma, i 307 bandi completati hanno generato oltre 95.000 proposte, più di 16.000 delle quali finanziate con circa 25,7 miliardi di euro complessivi, con un tasso di successo medio che si aggira intorno al 17%. Ma com’è la situazione per quanto riguarda la partecipazione Italiana?
Diassina Di Maggio
APRE
Agenzia per la Promozione della Ricerca Europea - Direttore
Da uno studio recentemente effettuato dal MIUR, risulta che di questo finanziamento arriva in Italia circa l’8,43%, per 2.221 milioni di euro a dicembre 2011: un risultato non ancora soddisfacente se pensiamo che la quota che il nostro Paese investe a sostegno del corrispondente budget UE equivale al 13%, ma che va comunque letto nella luce di alcune specificità del sistema Italia. Dallo studio del MIUR emerge infatti che la percentuale di ricercatori rispetto alla popolazione attiva presente in Italia è significativamente più bassa di quanto si osserva in Paesi come Germania, Francia e Spagna.
Così, se si calcolasse la redditività “per ricercatore” rispetto ai fondi conquistati a livello Europeo, l’Italia occuperebbe un posto di assoluto rilievo. Anche le risorse economiche allocate dallo Stato Italiano al MIUR per la ricerca sono inferiori rispetto a questi Stati, in particolare è scarsa la disponibilità di quei finanziamenti nazionali altrove utilizzati in modo complementare ai programmi-quadro (la cooperazione internazionale non viene ad esempio rifinanziata dal 2002 per il Centro-Nord e dal 2004 per il Sud), tanto che talvolta si ha difficoltà a reperire risorse per partecipare a Programmi cofinanziati dall’UE, ad esempio le future Joint Programming Initiative (JPI).
Un’altra debolezza strutturale del Paese, che il governo ha solo di recente cercato di mitigare con alcune norme del decreto semplificazioni, è la scarsa appetibilità della ricerca libera, che condiziona infatti gli insoddisfacenti risultati nel nuovo programma “Idee”. In tale contesto, la performance del nostro Paese per i primi 5 anni di FP7, se non entusiasmante, è però di confortante stabilità, malgrado una più serrata competizione legata all’allargamento dell’Europa a 27 Paesi. Analizzando i dati in dettaglio, ci si rende conto che i ricercatori italiani raccolgono meno di quello che seminano.
Infatti, se per numero di partecipanti e proposte presentate, il nostro Paese si posiziona dietro a Germania, Regno Unito e Francia - mentre per numero di coordinatori nelle proposte l’Italia è addirittura in prima posizione, con 5434 coordinamenti, superando la Germania, il Regno Unito e la Spagna - il tasso di successo è però più basso della media europea: 12,3% a dicembre 2011, contro il 16% circa della media europea. La situazione migliora sensibilmente quando il coordinatore è un ente di ricerca (14,1% le proposte coronate da successo in questo caso), che spesso esprimono vere eccellenze, soprattutto in alcuni settori, come le priorità “Energia”, “Ambiente”, “Trasporti” e “Scienze Umane e Sociali”, dove i nostri enti hanno percentuali di successo molto superiori alla media (ad esempio 21% in Energia contro una media del 16%).
Insomma quello che emerge è un sistema di ricerca pubblica che non ha perso competitività, anche a dispetto di risorse nazionali non sempre all’altezza, e che anzi esprime delle eccellenze su cui costruire anche in vista del prossimo programma Horizon 2020. In una situazione in cui le risorse finanziarie sono limitate, definire politiche di ricerca coerenti e “fare sistema” come si sente spesso dire in sede politica, avrà un’importanza fondamentale, ed è per questo che negli ultimi anni la Direzione Ricerca del MIUR ha cercato di migliorare il coordinamento dei soggetti e attività esistenti e proporre roadmap nazionali che si inseriscano nel quadro europeo. Un altro aspetto cruciale, che APRE cerca di portare avanti come parte della sua attività istituzionale, è anche quello di diffondere informazione e formazione sulle opportunità offerte dai programmi europei, condividere esperienze di successo e buone pratiche, per aumentare le chance di successo dei nostri progetti in Europa e non cedere alla tentazione del “cane sciolto”, che purtroppo in un contesto complesso come quello europeo raramente paga.
Per maggiori informazioni:
www.apre.it
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