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IPv6 avanti (adagio)
| Maddalena Vario | Osservatorio della rete
Tutti ne parlano, molti lo vogliono, pochi lo hanno già implementato: vantaggi e difficoltà della nuova versione dell’Internet Protocol
Geoff Huston, una delle voci più autorevoli nello studio dell’utilizzo dell’Internet Protocol (IP), ha previsto che gli indirizzi IPv4 termineranno nel 2012. Da quel momento ai nuovi dispositivi in rete verranno assegnati esclusivamente indirizzi IPv6.
Cos’è IPv6?
IPv6 è la versione dell’Internet Protocol che succede a IPv4, che dispone di uno spazio di indirizzamento maggiore e introduce nuove funzionalità. Benchè sia una tecnologia matura e la Commissione Europea abbia fissato per il 2010 l’obiettivo di migrare almeno il 25% degli utenti sul nuovo protocollo, IPv6 non si è ancora affermato del tutto, soprattutto al di fuori del mondo delle reti della ricerca.
Con il passaggio ad IPv6, le macchine dotate soltanto di protocollo IPv4 non potranno comunicare con quelle che dispongono unicamente del nuovo protocollo. Questa incomunicabilità avrà effetti particolarmente gravi su quei server che utilizzano esclusivamente IPv4, poiché i loro contenuti non saranno fruibili dagli utenti con solo indirizzi IPv6, a meno di non usare artificiosi meccanismi.
In previsione di questo scenario, si è reso necessario gestire il cambiamento e preparare il terreno per non arrivare impreparati al momento in cui gli indirizzi IPv4 termineranno. La soluzione più semplice da adottare è quella della configurazione del cosiddetto IP dual stack, che prevede che ogni terminale, server, router e qualsiasi altro apparato che tratta il livello IP, supporti entrambi i protocolli, magari lasciando l’indirizzo IPv4 privato, ma utilizzando un indirizzo IPv6 pubblico.
Un’altra soluzione prevede l’utilizzo di “punti di traduzione”, di cui una delle implementazioni più note è NAT-PT (Network Address Translation- Protocol Translation), che gestisce la traduzione tra IPv4 e IPv6.
Il meccanismo dei NAT, già noto nel mondo IPv4 e molto utilizzato dagli ISP, permette di ovviare alla scarsità di indirizzi facendo in modo che in rete gli indirizzi privati vengano visti come indirizzi pubblici; nello stesso tempo, proprio questo suo ruolo di “intermediazione” limita la trasparenza, favorendo l’anonimato, e rappresenta spesso un collo di bottiglia a scapito delle prestazioni. Con IPv6, invece, grazie alla possibilità di accedere ad un numero di indirizzi praticamente illimitato, diventa possibile fare a meno dei NAT con un conseguente miglioramento della sicurezza in rete e della qualità dei collegamenti.
IPv6: indirizzi in abbondanza
- IPv6 gestisce fino a 2128 indirizzi;
- gli indirizzi IPv6 sono composti di 128 bit, ma sono solitamente rappresentati come 8 gruppi di 4 cifre esadecimali (ovvero 8 “parole” di 16 bit ciascuna).
Ad esempio, un indirizzo IPv6 viene così visualizzato: 2001:0db8:85a3:08d3:1319:8a2e:0370:7344
Un esempio di indirizzo IPv4 è invece:
187.25.63.215
Un IP per ogni dispositivo: la domotica
Uno degli effetti della maggiore disponibilità di indirizzi IPv6 sarà l’opportunità di assegnarne uno anche ad apparecchiature di uso quotidiano, dalla lavatrice al forno, dal telefono cellulare al vestito. La cosiddetta domotica, la disciplina che permette di controllare ed utilizzare a distanza, attraverso la rete Internet, molti oggetti di uso comune, avrà grazie ad IPv6 un grande impulso. Le potenziali applicazioni sono innumerevoli: il controllo in tempo reale di sensori remoti nei sistemi di monitoring e prevenzione del rischio di disastri naturali, l’automazione della gestione energetica dell’illuminazione pubblica e degli edifici intelligenti, l’attivazione e programmazione a distanza di apparecchi domestici.
La situazione attuale
Anche se per ora l’uso di IPv6 riguarda solo una ristretta nicchia, la tecnologia è matura per essere usata in ambienti di produzione.
È importante quindi non trattare IPv6 come un oggetto ignoto, ma affrontare il problema e gestire la transizione in maniera proattiva, convincendosi che parte delle energie dei gestori e dei pianificatori di reti ormai devono essere dedicate al nuovo protocollo.
Non farlo significherebbe creare terreno fertile per i malintenzionati, che potrebbero approfittare delle caratteristiche di un protocollo ai più sconosciuto.
C’è infatti ancora molto da lavorare, in particolare:
- sulla sicurezza, dato che ancora non c’è massa critica per mettere alla prova il mondo IPv6 e molti apparati dedicati alla gestione della sicurezza non considerano ancora questo protocollo;
- sul VoIP, che è tra le applicazioni che sono maggiormente danneggiate dai NAT ma, stranamente, anche tra quelle più indietro nell’evoluzione verso IPv6;
- sulle implementazioni di IPv6 nei vari sistemi operativi, che non sempre prevedono la configurazione via DHCPv6 e le funzioni di mobilità;
- sulla scarsa presenza di IPv6 sulle reti degli ISP.
Quest’ultimo aspetto è particolarmente importante in quanto al momento gli ISP non promuovono attivamente questa tecnologia, che richiede investimenti per adeguare la propria rete al nuovo protocollo. Siamo dunque davanti un caso in cui il mercato da solo non basta per provocare la trasformazione e sono importanti alcuni esempi di governi nazionali, che hanno dato chiare linee guida alle amministrazioni pubbliche escludendo, ad esempio, l’acquisto di apparati che siano compatibili solo con IPv4.
Tuttavia, non è da escludere che col tempo la difficoltà di reperire indirizzi possa danneggiare gli stessi ISP, che a quel punto sarebbero costretti a correre velocemente ai ripari per evitare le limitazioni a cui gli utilizzatori della rete potrebbero essere costretti a sottostare.
Cosa ha fatto il GARR?
Attualmente tutta la rete GARR è dual stack, cioè è in grado di fornire connettività
IPv4 e IPv6 a tutti gli Enti collegati.
All’interno della comunità GARR, diversi utenti già implementano IPv6 nell’ambito
delle loro reti. IPv6 è disponibile su tutti i sistemi operativi e le principali applicazioni
(posta, web) sono già utilizzabili con il doppio protocollo (IPv4-IPv6).
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