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Una ricetta per l’innovazione
| Claudio Allocchio | Servizi alla comunità
Accettare le sfide e risolvere problemi concreti: ecco alcuni consigli per gli innovatori di domani
Innovare è un termine decisamente abusato in questi tempi: se non viene utilizzato sembra che l’argomento di cui si sta parlando non sia degno di attenzione.
Macosa significa davvero e, soprattutto, come si fa ad avere idee originali che portano quel “qualcosa in più” che ci fa progredire? È una domanda a cui cercano di rispondere in molti, spendendosi in disquisizioni complesse, ed a volte molto astratte dalla realtà quotidiana.
Io ho avuto la grande fortuna di iniziare ad occuparmi di reti di computer e dei loro servizi (oggi si dice “di Internet”) quando i problemi erano tantissimi e complessi e di soluzioni in giro ce n’erano davvero poche. Soprattutto, non c’era il dovere di essere innovativi, ma piuttosto la necessità di fare cose nuove (ed utili) per migliorare ciò che veniva fatto in modo tradizionale. Era un approccio che accomunava tutti coloro che si affacciavano al nuovo strumento che stava nascendo: la rete. Tuttora, questo principio è il fondamento su cui si basa il funzionamento di IETF (Internet Engineering Task Force), organizzazione che da sempre si occupa di creare gli standard con cui funziona Internet. La comunità IETF, infatti, non prende in considerazione le idee se non viene specificato a priori quale è il problema che si intende risolvere e se non si evidenzia che esso esista realmente.
Nel corso di TNC19 a Tallinn, Claudio Allocchio è stato premiato con la medaglia d’onore dalla Vietsch Foundation: importante riconoscimento internazionale per il contributo di idee e innovazioni nel campo del networking.
Questo modo molto pragmatico di affrontare le questioni ha sempre guidato coloro che hanno creato dal nulla l’attuale Internet. Dietro ognuno dei servizi che oggi sembrano banali e fondamentali, c’è sempre stato un problema concreto da risolvere ed un gruppo di persone che ha trovato una soluzione.
Vediamo infatti alcuni esempi a cui ho partecipato direttamente o che ho seguito da vicino. La posta elettronica universale oggi è considerata uno strumento normale per la comunicazione ma all’inizio degli anni ‘80 Internet non era come la conosciamo ora: esistevano tante reti separate ed ognuna aveva un suo modo di inviare messaggi incompatibile con gli altri. Se oggi vogliamo convocare una riunione, o più semplicemente dare appuntamento ad un gruppo di colleghi per una pausa caffè, mandiamo un messaggio e tutti lo ricevono. Questo era un sogno irrealizzabile all’epoca: il collega dell’edificio accanto era seduto come me davanti ad un terminale, ma il suo computer ed il mio non parlavano la stessa lingua, e per “chiamare caffè” si facevano molte telefonate. Fu così che durante una pausa alla caffetteria del main building del CERN proposi ai colleghi di inventare un sistema che permettesse alle mail di arrivare su ogni computer fosse collegato ad una qualsiasi rete. Da quell’idea davanti al caffè è nato il sistema di posta elettronica mondiale, perché non ci volle molto a capire che ciò su cui ci eravamo messi a lavorare, quasi a tempo perso, poteva essere una rivoluzione globale.
Circa una decina di anni dopo, un altro collega del CERN, cercava di risolvere un altro problema in apparenza semplice: ovvero “navigare” (termine moderno!) all’interno di migliaia di pagine dei manuali operativi delle installazioni degli esperimenti di fisica. La documentazione ormai era tutta in formato elettronico, ma il passaggio da un documento all’altro era molto complesso e poco intuitivo. Fu così che Tim Berners Lee inventò l’Hyper Text Markup Language (html) e, tenendo conto che i file potevano risiedere su calcolatori diversi, ci aggiunse anche l’Hyper Text Transfer Protocol (http). Poi, grazie alla geniale intuizione degli informatici del National Center for Supercomputing Applications che inventarono il primo browser, MOSAIC, ed aggiunsero la grafica a quello che era uno strumento esclusivamente testuale, nacque il servizio “web” come lo conosciamo oggi.
Una singolare coincidenza accomuna le due innovazioni: entrambi i coordinatori (perché sempre di lavoro di gruppo si è trattato) inventarono due nomi che poi son diventati famosi. Il mio servizio di mail globale aveva un’interfaccia chiamata GMAIL (che stava per Generic Mail, visto che Google era ancora lontana da venire) mentre Berners-Lee diede vita al WWW.
Con un altro salto temporale, troviamo un ulteriore esempio di come affrontare un problema concreto abbia prodotto una grande innovazione. Era il 2005 quando un musicista e manager visionario (ma anche laureato in matematica), Massimo Parovel del Conservatorio Tartini di Trieste, venne da noi esperti di rete, per soddisfare un’esigenza precisa: fare lezioni di musica a distanza dove maestro ed allievo potessero suonare insieme. Da questa sfida, all’inizio inimmaginabile, è nato il sistema LoLa (Low Latency) che nel tempo è divenuto un servizio altamente innovativo oggi usato anche in campi diversi da quello originale, compresa la neurologia cognitiva. LoLa ha affinato nel tempo le sue peculiarità mantenendo un potenziale d’interazione tra le persone finora mai raggiunto, tanto è vero che negli Stati Uniti vi sono sale attrezzate con LoLa a disposizione del pubblico all’interno di varie public libraries dove ci si può dare appuntamento con persone di altre località per trascorrere del tempo insieme anche se a migliaia di chilometri di distanza.
Anche in questo caso l’innovazione si è concretizzata affrontando uno alla volta i molteplici aspetti, pensando in modo diverso rispetto al passato: per esempio, per velocizzare l’invio dell’immagine è stato abbandonato il concetto di fotogramma da trasmettere che stava ancora lì dai tempi dei fratelli Lumière. Le idee innovative sono sempre venute fuori cercando di utilizzare sistemi diversi da quelli consolidati, e LoLa è un tipico esempio: buttando via la quasi totalità dei principi su cui si basa la videoconferenza tradizionale si è ottenuto quello che nel 2005 sembrava un sogno impossibile: latenze di codifica e decodifica del segnale audio/video inferiori ai 4 millisecondi per immagini full HD ed una moltitudine di canali audio non compressi di altissima qualità.
Innovare può significare anche rinunciare ad usare servizi/librerie/ protocolli già pronti per ritornare alle basi, a quei sistemi che si usavano molti anni fa, quando si avevano a disposizione solo tavole di legno, chiodi e martello e non elementi prefiniti e componibili a piacere con pochi click. Ciò presuppone, però, che bisogna anche conoscere la basi, conoscere i chiodi e saperli usare. Sappiamo ancora scrivere codice di programmazione senza usare centinaia di oggetti “precotti” di cui ignoriamo il contenuto? Oggi le presentazioni sono piene di nomi e sigle di librerie, di servizi, ecc. e chi dice di innovare semplicemente mette insieme questi pezzi come fossero dei Lego già costruiti. Per essere davvero dirompenti allora dobbiamo tornare ai mattoncini singoli e metterli insieme uno per uno.
In tutte le occasioni in cui c’è stata vera innovazione, se guardiamo bene, scopriremo che c’è stata una comunità che aveva un’esigenza reale, dove chi aveva il problema spesso coincideva con colui che cercava di risolverlo, oppure lavorava in stretto contatto con chi avrebbe dovuto farlo.
Non c’era il ruolo di cliente e fornitore della soluzione, ma tutti erano dei pari, ciascuno con il suo bagaglio di conoscenza, condiviso con gli altri. Oggi invece abbiamo spesso esempi di soluzioni in cerca del problema da risolvere, per ricordarci di Pirandello, e non è questa l’innovazione. Le esigenze che la comunità della ricerca e dell’istruzione si trova ad affrontare a volte sono davvero specifiche e uniche, fortunatamente però non manca la conoscenza tecnica degli strumenti per trovare la soluzione adatta. Per continuare ad innovare quindi è fondamentare mantenere al proprio interno queste competenze. Se ci si affida a servizi esterni si perde la possibilità di creare. Solo con il controllo pieno di un servizio è possibile avere la conoscenza necessaria sia per educare le nuove generazioni, che per inventare qualcosa di nuovo. Una volta mi dissero “chi innova non compra, perché non c’è da comprare, ma inventa!” ed è la filosofia che deve seguire la difficile, ma appagante, strada dell’innovazione. Mi dissero anche “parla dei problemi che stai cercando di risolvere anche con persone che non c’entrano nulla, perché sicuramente vedono la cosa in modo diverso… e qualcuno, forse inconsapevolmente, potrebbe darti l’idea giusta per una soluzione nuova!”.
Due suggerimenti che credo vadano tenuti bene a mente anche oggi.
E se pensate che ormai non ci siano più problemi da risolvere, oppure che tanto qualcuno degli “innovatori” risolverà tutto, provate ad accettare questa sfida: inventare qualcosa che permetta a chi partecipa ad una riunione in modo virtuale da remoto, di avere le stesse interazioni che si hanno con i colleghi durante le pause caffè: scambi di idee, sguardi, battute scambiate nel mezzo del caos e della ricerca del pasticcino… e forse anche il caffè ed il pasticcino da remoto. Inventare il “coffee break assistant”, l’avatar che ci permette davvero di essere là, è un problema talmente complesso, che spazia tra innovazione, tecnologia, psicologia e chissà quali altri campi della conoscenza umana che nessuno ci è ancora riuscito. Innovatori… datevi da fare! Perché, se non si fosse ancora capito, le pause caffè (o birra) sono sempre state fondamentali per molte invenzioni, soprattutto nel campo di Internet: la mail globale è nata davanti a un caffè e il MIME (mail multimediale) in un pub!
Video premiazione Vietsch Foundation - da GARR.tv
Intervista a Claudio Allocchio dopo la premiazione - da GARR.tv
Intervista a Claudio Allocchio per l’Italian Internet Day - da GARR.tv
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