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Ripensare al paradigma didattico per accogliere la tecnologia
| Maddalena Vario | Caffè scientifico
Colloquio con Enzo Zecchi
Il professor Zecchi è fondatore di Lepida Scuola, gruppo di docenti della scuola pubblica impegnato nella ricerca educativa.
Negli ultimi anni, hanno costruito in Emilia Romagna una rete di più di cinquecento insegnanti, ai quali offrono corsi di aggiornamento, affiancamento esperto nella didattica attiva, e soprattutto un metodo scientifico per lo sviluppo delle competenze.
Prof. Zecchi, le nuove tecnologie sono compatibili con la didattica di oggi?
Da sempre ho fatto mio l’adagio di D. Jonassen per il quale le tecnologie sono importanti “Not to learn from, but to learn with”. Oggi, è ancora maggiormente diffuso un tipo di didattica che possiamo definire trasmissiva (to learn from), in cui la conoscenza si acquisisce soprattutto per ricezione e in cui a prevalere sono i contenuti disciplinari.
In questo contesto, le tecnologie hanno poco da dare e l’esperienza mostra che, nella trasmissione dei contenuti, un docente è più efficace del migliore computer: riesce a cogliere i bisogni della classe, a creare empatia, ad intervenire al bisogno sul singolo alunno.
Enzo Zecchi
Lepida Scuola
Fisico Teorico ideatore del metodo Lepida Scuola
Diversamente da quanto succede altrove, le tecnologie in classe non sono finalizzate a organizzare, velocizzare e automatizzare procedure: vanno a toccare un ambito veramente complesso e delicato, quello degli apprendimenti dei ragazzi e più in generale della loro educazione. È testimone di questa estrema difficoltà la sequenza dei numerosi insuccessi che hanno caratterizzato decenni di tentativi d’integrazione delle tecnologie digitali in aula. Gli insegnanti, spesso, sono accusati di rifiutare in modo aprioristico l’inserimento delle tecnologie in classe.
Il BYOD può essere una risposta alla carenza di fondi. Bastano 5-6 dispositivi in ogni classe quanti i gruppi di studenti
Non si tratta di questo. Nel mestiere dell’ingegnere, del medico, del commercialista… le tecnologie sono entrate a ragione in modo efficace; nel mestiere del docente trasmissivo le tecnologie spesso risultano inutili e ingombranti. Non avere le tecnologie in classe, di per sé non è un problema. Se l’insegnante non ne sente il bisogno, se l’inserimento del computer avviene solo per moda, la cosa migliore è lasciarlo fuori della classe.
Quindi bisogna imparare insieme alle tecnologie?
Esattamente. Veniamo, infatti, alla seconda parte dell’adagio: but to learn with. Ho sempre sostenuto che il cambio di paradigma didattico, verso una didattica attiva di taglio costruttivista/costruzionista, centrata sull’alunno e in grado di sviluppare e certificare le competenze, preveda un ruolo importante per le tecnologie. Oggi, noi di Lepida Scuola, dopo anni di sperimentazione sul campo, siamo in grado di declinare questa affermazione in modo analitico e scientifico. La chiave di volta è l’ambiente di apprendimento.
Non si può pensare ad un cambio metodologico senza pensare ad un opportuno cambio di ambiente di apprendimento. La scuola/ classe e le sue risorse così come concepite per la didattica trasmissiva non possono essere un ambiente adeguato per una didattica attiva, ad esempio per problemi e progetti. Quale, dunque, l’ambiente di apprendimento opportuno? Da molti anni abbiamo adottato il modello, semplice, completo ed efficace, che D. Jonassen ha proposto nel 1999 e che ha chiamato Constructivistic Learning Environment (CLE).
Questo ambiente, prevedendo una didattica con al centro i problemi, progetti e casi, ipotizza una serie di risorse indispensabili per l’implementazione l’implementazione del nuovo paradigma. Sono importanti risorse dell’ambiente, i casi correlati, le fonti per l’informazione, gli strumenti cognitivi, gli strumenti collaborativi e i fattori socio ambientali. Per capirci, una per tutte, si prenda ad esempio la risorsa più emblematica: i casi correlati. Jonassen vuole dire questo: quando dobbiamo affrontare un problema autentico, uno di quelli che ci capita nella vita di tutti i giorni,ad esempio un problema di salute o un problema legale o la costruzione di una casa, qual è la prima cosa che facciamo? Cominciamo ad esplorare enciclopedie, trattati medici o legali? No, probabilmente la prima cosa che facciamo è quella di andare a consultare qualcuno che di casi simili, correlati, ne ha già affrontati molti.
Lepida Scuola è una rete di insegnanti dell'Emilia-Romagna che coinvolge oltre un migliaio di docenti provenienti da circa 100 scuole.
Dopo anni di sperimentazione in Lepida Scuola, si può affermare in modo analitico e scientifico che la chiave di volta è prevedere una didattica che metta al centro i problemi, i progetti, i casi.
Andiamo a cercare l’esperto, ad esempio un medico, un avvocato o un architetto. Come possono i ragazzi in classe di fronte a problemi/ progetti autentici consultare l’esperto di riferimento? È praticamente impossibile. A scuola si stenta ad avere i soldi per fare fotocopie, figuriamoci se ci sono le risorse per avere esperti. Ebbene, questo che pare un problema insolubile, lo si può risolvere velocemente iscrivendosi a forum di discussione in rete. Ce ne sono per ogni tematica e gli esperti rispondono in poche ore o al più in qualche giorno. Certo, si pone il problema di filtrare le fonti, ma qui c’è il docente che interviene nel suo ruolo di coach. E questo vale per ogni altra risorsa dell’ambiente CLE. Insomma, mentre ipotizzare questo ambiente di apprendimento era un’utopia per una scuola di dieci o quindici anni fa, ora tutte queste risorse sono disponibili in presenza di una modesta dotazione tecnologia. Ed è qui che la famosa domanda circa l’efficacia dell’intreccio tra tecnologie e didattica trova una risposta scientificamente fondata. Si potrebbe dimostrare come tutte le risorse auspicate da Jonassen siano sostanzialmente presenti in rete, anche gratuitamente. Quindi, le risorse tecnologiche diventano una condizione necessaria e sufficiente per l’implementazione di un nuovo ambiente di apprendimento.
Come fare se in aula non è presente “una minima dotazione tecnologica”?
Il problema evidenziato da molti docenti è che in quasi tutte le aule non esiste la modesta dotazione tecnologica. Ci sono scuole che hanno ottimi laboratori, attrezzati con molti computer e periferiche varie, ma la stragrande maggioranza delle aule non ha nulla: ed è lì che si fa didattica. Crediamo che a questa corretta obiezione difficilmente potrà dare una risposta l’istituzione. Dove trovare i fondi per attrezzare tutte le aule anche con modeste dotazioni tecnologiche e per una loro successiva manutenzione e aggiornamento? Crediamo che una risposta corretta sia quella che in letteratura ha il nome di BYOD, Bring Your Own Device: sono gli alunni che si portano da casa i device, smartphone o tablet o notebook. Da un punto di vista tecnologico/pedagogico, questa a mio avviso è la soluzione e in ogni classe di device ne bastano pochi, cinque o sei, quanti i gruppi degli studenti.
E la scuola cosa deve garantire?
Innanzitutto una buona connettività e qui davvero ritengo fondamentale il ruolo della banda larga. Non si tratta, infatti, di gestire pochi collegamenti: gli alunni sono diverse centinaia, oltre il migliaio in parecchie scuole. E la banda larga possiede, inoltre, rispetto all’Adsl, un’altra caratteristica che è importante per la scuola: la connessione simmetrica. L’utilizzo intensivo della cloud infatti, nell’ottica di abbattere i limiti spaziotemporali, è favorito da una connessione simmetrica che permette di fare agevolmente l’upload di dati pesanti: immagini, filmati, animazioni, etc.
La scuola deve inoltre garantire buone periferiche, importanti per creare spazi di tinkering, ovvero la modalità con cui gli alunni possono cimentarsi in attività di costruzione in cui ciascuno può sviluppare la creatività, la capacità di ricerca e l’apprendimento per scoperta; è così che i ragazzi apprendono sul campo il metodo scientifico.
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