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Nuovi scenari per la didattica, tra digitale e presenza

Nuovi scenari per la didattica, tra digitale e presenza

| Roberto Maragliano | La voce della comunità

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Riflessioni su un anno di didattica in rete

Nel giro di pochissimo tempo, settimane e mesi, enormi masse di individui impegnati in ambito formativo hanno acquisito direttamente, attraverso l’esperienza, una prima e fondamentale familiarità con l’impiego di dispositivi e linguaggi digitali sconosciuti ai più, perfino ad esperti di settore. Non hanno imparato a muoversi da un qualcuno, individuo o istituzione, che glielo abbia autorevolmente o autoritariamente insegnato ma hanno tratto autonomamente dall’esperienza l’insegnamento necessario per sopravvivere al trauma provocato dal venir meno delle condizioni di sempre della formazione e dall’esigenza di proseguire, comunque, nel proprio impegno.

Siamo diventati sempre più familiari con un mondo di cui non conosciamo ancora le potenzialità

Non è improprio ricavarne l’impressione che molto sia cambiato, dentro l’universo di riferimento dell’azione scolastica e universitaria. Molto più di quanto generalmente si creda. Questo squilibrio tra la pratica e la teoria pone un grosso problema, in quanto riflette sì una scissione profonda, storica, conosciuta e vissuta dentro la tradizione colta, ma lo fa oggi pubblicamente, sulla scena sociale, mettendo così in luce un conflitto plateale fra la positività fattuale dei comportamenti collettivi e le modalità critiche con cui li si pensa, li si interpreta e li si giudica. La conseguenza generale di questo complesso fenomeno è duplice: siamo diventati sempre più familiari con un mondo di cui non conosciamo ancora le potenzialità; resistiamo a prendere atto della necessità di nuove categorizzazioni.

Sul primo versante si può essere ottimisti e pazienti, presto ci si renderà conto che il digitale muta la natura del sapere. Lo si coglierà tornando (meglio andando) in aula, quando scomparirà l’illusione, talora coltivata, che questa della didattica in digitale sia stata niente più che una parentesi emergenziale, e saranno gli insegnanti stessi a farcelo capire, per via della loro stessa formazione professionale e culturale, che in questi mesi ha cambiato ragione e modalità d’essere, riqualificandosi attraverso l’uso di nuovi ambienti, nuove procedure, nuove modalità di interazione.

Sul secondo versante, invece, c’è da essere meno ottimisti, perché la resistenza di certe idee trova tuttora ampia giustificazione dentro l’impianto tecnico e concettuale delle istituzioni scolastiche e accademiche. È dunque a tale livello di complessità che si dovrà porre, seriamente, il problema della didattica, coinvolgendo dunque la qualità nuova dei saperi, delle pratiche, dei concetti che il digitale sollecita non nella prospettiva di una sostituzione ma di una positiva interazione con i precedenti.

Non si tratta solo di dar conto delle buone esperienze: tante ce ne sono state dentro e fuori delle mura scolastiche, e tante ce ne saranno. Si tratta invece, e soprattutto, di impegnarsi tutti a capire meglio perché quelle pratiche possano essere giudicate buone, e in che senso lo siano, se perché permettono di affrontare con più efficacia il problema di sempre (quale scuola?) o se invece perché consentono che si legga meglio, secondo una prospettiva più ampia, lo stesso problema.

L’insegnamento dovrebbe essere al servizio di un apprendimento di saperi e comportamenti sempre più collettivi e connettivi

Registriamo un ritardo storico, su questo fronte, è doloroso ammetterlo. Le idee di scuola e di università e dunque di didattica su cui poggiamo molti dei nostri ragionamenti, anche quelli di valorizzazione del digitale, appartengono più al diciannovesimo che al ventesimo secolo, sono più debitrici ad un modello di stabilità ed intoccabilità del sapere, e dei suoi presupposti, e meno ad un modello di instabilità e permeabilità delle conoscenze e delle esperienze.

Ci illudiamo che l’apprendimento giusto possa essere ancora quello che discende da un insegnamento istituzionalizzato in un’epoca e con modalità che da tempo non sono più le nostre. Di conseguenza, siamo indotti a resistere all’idea, peraltro portata alla luce da tanti vissuti digitali dell’ultimo anno, che l’apprendimento più utile e duraturo possa essere quello in cui l’insegnamento è messo nelle condizioni di svolgere una funzione di servizio all’apprendimento: un servizio il cui intento maggiore dovrebbe essere di fornire le condizioni perché i singoli e i gruppi in formazione acquisiscano attivamente gli strumenti di un filtraggio sempre più necessario all’interno di saperi e comportamenti sempre più collettivi e connettivi, allo stesso tempo elevati e mondani.

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